«Chi tace è complice», da Seminara un grido che smuove le coscienze contro abusi e violenze
Per chi c’era, per chi voleva esserci ma ancor di più per chi ha scelto di non esserci. Una voce come centomila per dire basta con dignità e forza

Di Antonella Votano – È con profonda emozione che ho partecipato alla manifestazione che si è tenuta a Seminara domenica 18 maggio, dal titolo “Sete di giustizia” che ha avuto come tema la violenza di genere. Parlare di violenza significa prima di tutto guardare oltre l’evidenza. Significa riconoscere che, troppo spesso, ciò che viene vissuto tra le mura domestiche, nei luoghi di lavoro, nei contesti educativi e nelle relazioni più intime, non lascia segni visibili, ma scava solchi profondi nell’identità, nell’autostima, nella libertà di chi la subisce.
Come pedagogista, credo sia nostro dovere partire dall’ascolto. Non un ascolto qualsiasi, ma un ascolto autentico, capace di accogliere il dolore, di dare voce a ciò che è stato taciuto, di riconoscere il valore del racconto anche quando si rompe nel silenzio o nella paura. Ho letto durante la manifestazione una piccola riflessione che avevo maturato da tempo: «Siamo qui oggi per dire con forza, con coraggio, con determinazione: basta abusi, basta silenzi, basta violenza sulle donne!
Siamo qui non per riempire una piazza, ma per dare voce a chi troppo spesso viene zittita, ignorata, dimenticata. Siamo qui per ogni donna che ha subito un insulto, un colpo, un ricatto. Per ogni donna che ha avuto paura di parlare, paura di andarsene, paura di non essere creduta.
Siamo qui per rompere il muro dell’indifferenza. Perché ogni abuso è una ferita non solo per chi lo subisce, ma per tutta la società. Ogni volta che una donna viene controllata, manipolata, minacciata, noi perdiamo un pezzo di umanità. Ogni volta che una denuncia resta inascoltata, che una vittima viene colpevolizzata, che un’aggressione viene giustificata, è la nostra civiltà che fallisce. Ma oggi, in questa piazza, diciamo chiaramente: non ci stiamo più. Non ci stiamo ad accettare la cultura del possesso, del patriarcato, del silenzio. Non ci stiamo a vedere i diritti trasformarsi in privilegi concessi. Non ci stiamo a educare le ragazze alla paura, invece di insegnare ai ragazzi il rispetto.
Ogni donna ha il diritto di essere libera. Libera di amare, di lasciare, di vestirsi come vuole, di vivere senza doversi giustificare. E allora oggi, tutte e tutti insieme, avremmo voluto camminare per chi non può più farlo. Gridiamo per chi è stata zittita. Alziamo la voce non solo per denunciare, ma per costruire un futuro diverso. Un futuro dove la parola “no” sia ascoltata. Dove il rispetto non sia una richiesta, ma una regola. Un futuro in cui nessuna debba più avere paura di tornare a casa da sola.
Oggi siamo qui, e non ci fermeremo. Finché ci sarà anche una sola donna vittima di violenza, la nostra lotta continuerà. Perché la libertà, il rispetto, la dignità non sono concessioni. Sono diritti».
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