Quel marchio, quel blasone, quella storia… al bando avventurieri e soluzioni creative
Il 29 maggio in un’anonima stanzetta del Cedir la storia calcistica della città verrà messa all’asta. Grande attesa tra i tifosi

La grande R amaranto con inglobato il pallone dal design meravigliosamente vintage e la tutina per bambini appena nati. Il nome Reggina Calcio che profuma ancora di serie A e, nell’ordine: due grembiulini, sei righelli, 4 tappetini per mouse, 22 ombrelli e 420 portachiavi. E ancora il trofeo dell’ultima promozione in serie B e tre manichini in mezzo busto: tutto in vendita (la Storia e la paccottiglia) il prossimo 29 maggio, in un’anonima stanzetta del Cedir in cui si deciderà da che parte andrà la squadra amaranto. Si parte con un’offerta base 100 mila euro. Non vi accalcate alle casse.
Negli ultimi mesi, noi poveri tifosi amaranto (scaricati da Lega e Federazione tra i dilettanti come un sacchetto dei rifiuti, con un’efficienza e una rapidità che le due società che si contendono la raccolta della monnezza a Reggio neanche si sognano) quel marchio, quella storia, quel blasone, quell’identità ce la siamo vista sventolare in faccia da una serie di personaggi pittoreschi, che quella Storia, quel blasone e quell’identità hanno usato come una clava per propaganda e interesse, non certo per il bene della Reggina, visto che, marchio a parte, solo l’attuale società amaranto, in forza degli accordi dell’anno scorso con la Federazione per non fare scomparire il calcio in città, potrà chiamarsi Reggina nella prossima stagione.
Non fossero bastati gli ultimi due avventurieri sbarcati sullo Stretto con contorno di pailletes, cittadinanze onorarie e fuochi d’artificio e spariti all’orizzonte coperti dalle macerie che si erano lasciati alle spalle, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad uno spettacolo desolante. Prima Bandecchi, l’anacronistico sindaco di Terni (e candidato alle Europee, che tempismo) che in una convention al Cilea aveva sventolato il marchio e la tradizione a favore di telecamera e con contorno di una parte della tifoseria.
Poi Ferrero aka il Viperetta, l’altrettanto sopra le righe ex presidente della Sampdoria, che qualche mese fa dichiarò ai giornali di volere acquisire il marchio della Reggina «per divertirsi»: A Genova, i tifosi blucerchiati, ancora lo cercano per rinfacciarli il quasi fallimento della loro squadra (che di Santi in Paradiso, evidentemente, ne aveva più dell’innominabile di Lamezia), a Reggio c’è già chi è pronto a fargli i ponti d’oro. Due giorni fa è stato il turno dell’ex presidente Lillo Foti: ha aspettato di patteggiare con il Tribunale la pena per il fallimento del 2015 prima di farsi avanti proponendosi per il futuro. Vorrò sempre bene al presidente Foti per quello che, come tifoso, mi ha regalato. Così bene che gli perdono anche il rovinoso finale della sua reggenza. Ma il passato è passato. Senza rancore.
Ora è arrivato il turno del sindaco Falcomatà a cui è venuto in testa di acquistare il marchio (e la storia, l’identità, il blasone e tutto il resto) e acquisirlo ai beni del Comune, per poi “affittarlo” alla proprietà della Reggina (questa o quella che verrà, se prima o poi qualcuno si deciderà a trasformare gli annunci in offerte), con l’intenzione di preservarlo da eventuali futuri fallimenti. Una scelta che fa il paio con quella del Governo che, nei giorni scorsi, ha presentato un progetto per eliminare gli organi di controllo del calcio e portare tutto il movimento sotto l’ombrello del potere esecutivo che si arrogherà, tra le altre cose, anche il diritto di decidere sul futuro di quale società vivrà e quale no. L’idea di un calcio totalmente assoggettato ai voleri di questa classa politica mi terrorizza. Ma forse è un problema mio. (Barney p)
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