Boss esclusi dai colloqui Skype con figli? Deciderà la Corte costituzionale

La Corte costituzionale è chiamata in questi giorni a sciogliere un nodo cruciale, ossia quello di stabilire se è legittimo escludere i detenuti sottoposti al 41 bis, il regime speciale a cui sono sottoposte alcune categorie a partire da boss di mafia e terroristi, dai colloqui via Skype con i figli minori. Il 9 marzo il tema sarà trattato in udienza pubblica. All’origine di tutto c’è il caso di un detenuto sottoposto al carcere duro che si era visto rifiutare i colloqui via Skype con la figlia di 5 anni e che per questo si era rivolto al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.

Le conversazioni via Skype sono state introdotte nelle carceri con l’emergenza Covid, in sostituzione degli incontri diretti, per evitare il diffondersi del contagio e nello stesso tempo per garantire il diritto del detenuto al mantenimento delle relazioni affettive. Li ha previsti l’articolo 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29. Le norme però non fanno riferimento ai detenuti sottoposti al regime del carcere duro e proprio per questo i giudici reggini dubitano della loro costituzionalità, dubbi che investono anche lo stesso articolo 41-bis della riforma penitenziaria del 1975, visto che non prevede che i colloqui sostitutivi con i figli minorenni possono essere autorizzati a distanza, in alternativa a quelli telefonici, con modalità audiovisive.

Tutto questo per i giudici si traduce in una disparità di trattamento dei figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale rispetto a quelli dei detenuti comuni e nella lesione dei loro diritti inviolabili, come quello di mantenere il rapporto affettivo con il genitore in carcere, a tutela del corretto sviluppo della loro personalità e del loro benessere psico-fisico. I giudici denunciano perciò la violazione di una serie di norme della Costituzione (articoli 2, 3, 30 e 31) oltre che dell’articolo 27, perché fondamentale per il recupero sociale del reo è il mantenimento dei rapporti familiari e soprattutto genitoriali. Sarebbe leso anche l’articolo 117 della Costituzione, in riferimento agli articoli 3 e 8 della Carta europea dei diritti dell’uomo, che vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il rispetto alla vita familiare.

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