Stupro Melito, parla Nucera: «Contro di me solo il racconto della ragazza con limiti di attendibilità»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata alla redazione da parte di Michele Nucera condannato per violenza sessuale nei confronti di una ragazza di Melito Porto Salvo. 

Scrivo queste righe dopo aver appreso che, in esito all’udienza celebratasi quest’oggi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso che avevo presentato tramite i miei difensori, gli Avv.ti Maria Chiara Zanconi e Salvatore Volpe, contro la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria. Sentenza che mi ha condannato a 6 anni di reclusione per violenza sessuale nei confronti di una ragazza di Melito di Porto Salvo per fatti che risalgono ormai a oltre sette anni fa, quando avevo 19 anni.

Scrivo queste righe scosso, incredulo e addolorato come lo ero all’inizio del mese di settembre del 2016 quando sono stato arrestato. Non comprendevo allora e non comprendo ora quello che mi sta accadendo perché rifiuto fermamente le imputazioni che mi sono mosse. Non ho mai usato violenza nei confronti della ragazza che mi accusa, né nei suoi confronti né di nessun’altra persona.

Contro di me c’è sempre stato solo il racconto che ha fornito questa ragazza, una deposizione che tuttavia, come riconoscono peraltro gli stessi Giudici che mi hanno condannato, presenta enormi limiti di attendibilità.
Nel processo, il consulente tecnico che ho incaricato, il Prof. Giuseppe Sartori, ha analizzato con rigore scientifico le trascrizioni delle tre lunghe udienze di incidente probatorio nelle quali è stata assunta la testimonianza della ragazza e ha concluso per la mancanza di genuinità del racconto fornito, sollecitato da 361 domande suggestive, fuorvianti se non addirittura nocive.

Il racconto muta diverse volte nel corso di queste tre lunghe udienze di incidente probatorio e io, a distanza di sette anni, a distanza di tre gradi di giudizio, di innumerevoli udienze e di pagine e pagine di sentenze e ricorsi, non conosco ancora gli esatti contorni dell’episodio per il quale sono stato condannato, non conosco quando questo episodio si sarebbe verificato, non conosco la natura degli atti sessuali di cui avrei richiesto la prestazione.

Leggo le sentenze emesse contro di me e prendo atto, purtroppo, del fatto che tutti gli elementi, pure presenti negli atti, in grado di disvelare la falsità delle accuse di cui sono destinatario non sono stati minimamente considerati. Non è stata valutata la gravissima e accertata cancellazione delle prove informatiche effettuata, con l’aiuto dei famigliari, dalla ragazza che, prima di consegnare il suo computer e il suo cellulare agli inquirenti, ha eliminato irreversibilmente messaggi, foto, video che potevano sconfessare le sue accuse.

E dove qualche messaggio, qualche foto, qualche video si è salvato è stato interpretato dai Giudici contro il suo significato letterale. Non posso che richiamare l’esistenza di messaggi tra me e la ragazza la cui interpretazione letterale dimostra la totale consensualità del rapporto che vi è stato tra di noi. Eppure, nonostante anche il Procuratore presso la Corte di Appello avesse ritenuto, proprio sulla base di questi messaggi, che non vi fosse stata violenza, i Giudici hanno deciso di superare queste evidenze pur di salvare una macchina accusatoria che si era ormai mossa e che non poteva arrestarsi.

Una macchina che mi ha travolto nonostante i tentativi di difendermi e gli strumenti processuali, scientifici, tecnici che hanno messo in campo i miei difensori. Confidavo nella serenità di giudizio della Suprema Corte di Cassazione ma l’esito di oggi è per me incomprensibile come lo era cinque anni fa l’ordinanza di custodia cautelare. Nell’attesa di leggere le motivazioni di questo esito, oggi, come cinque anni fa, non posso che rispettare le decisioni dell’Autorità Giudiziaria, decisioni che non comprendo e non comprenderò mai, ma che irrimediabilmente cambieranno per sempre la mia vita e quella della mia famiglia.

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