Morte Fausto Dardanelli, speranze appese all’ennesima richiesta di opposizione all’archiviazione

C’è la rabbia, ma non ancora la rassegnazione. La sensazione di andare avanti è faticosa, soprattutto quando tutto sembra inutile. Il dolore dei genitori Maria e Giuseppe di sperare invano per un caso che poi non viene valutato in tutti i suoi elementi. Ma nel caso della morte di Fausto Dardanelli c’è ancora una speranza, sottile e attaccata ancora una volta, come lo scorso anno di questi tempi, alla decisione di archiviare o meno da parte del Tribunale di Reggio, chiamato a decidere ancora una volta.

Nuova opposizione alla richiesta di archiviazione del pm per il caso del giovane carabiniere reggino di 34 anni, trovano morto in circostanze non chiare a Bagaladi, il 22 luglio del 2016.

La famiglia è rappresentata Giulio Murano, avvocato cassazionista del Foro di Roma. Non convince l’ipotesi che il giovane, senza motivo apparente, si sia ucciso. Per discutere dell’opposizione alla richiesta di archiviazione formulata da Pm, il legale ha riproposto tutti i fatti che hanno caratterizzato l’episodio su cui serve fare luce, insistendo su questioni che riguardano la carenza degli elementi per sostenere pacificamente l’ipotesi suicidiaria e per approfondire l’ipotesi che si sia trattato di un omicidio.

La storia di Fausto

Lo scorso 22 luglio, la famiglia è stata a Bagaladi, dopo la celebrazione della messa, sono stati deposti dei fiori e un piccolo ricordo proprio nel luogo in cui il carabiniere fu trovato senza vita. Tante stranezze nel caso che portano il legale e la famiglia a non arrendersi. Due colpi sparati con la pistola d’ordinanza: come avrebbe fatto Fausto a spararsi un secondo colpo dopo il primo, all’interno di una vettura chiusa, col rumore devastante che ne consegue. Per non parlare della fermezza della volontà di portare a termine il gesto.

I conti non tornano

Il primo pubblico ministero aveva archiviato la vicenda dopo appena 5 giorni dalla notizia di reato. L’autopsia non è stata fatta immediatamente ma solo tre anni dopo, nel 2019, su disposizione del giudice. Manca lo stub, l’esame della polvere da sparo sulle mani. Non è stato circoscritto l’ambiente in cui si era verificato il decesso, nessuna impronta rilevata, nessuna cicca di sigaretta raccolta, non si è cercato altro dna nell’auto. La famiglia esclude categoricamente il suicidio per una delusione d’amore, per la storia con una ragazza che era terminata ormai da qualche mese.

Il giudice, dopo la presentazione dell’opposizione, si è riservato di decidere.

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