Sculture e pitture, a Reggio due mostre per far ripartire la cultura

Riceviamo e pubblichiamo:

Le chiusure al pubblico degli istituti culturali come i musei, le biblioteche, gli archivi di Stato, dovute a questi tempi di pandemia, hanno costituito l’occasione per alcuni di loro di riorganizzarsi, di riordinare le idee sulla propria missione culturale, o anche semplicemente di mettere ordine nei depositi, negli scaffali e nelle banche dati, in attesa di poter riaprire i propri spazi e soprattutto rendere fruibili le loro infinite risorse culturali. E così che ad esempio in molte città italiane i musei sono ripartiti allestendo nuove sale o inaugurando nuove mostre. Molti direttori, ricercatori, curatori museali, hanno continuato a studiare, progettare e programmare, probabilmente convinti della necessità di risvegliare, assieme agli anticorpi virali, anche quelli culturali, per sconfiggere gli effetti della disastrosa pandemia.

Qualcosa di simile è accaduto anche a Reggio Calabria dove, nei lunghi mesi di chiusura, sono state ideate e organizzate due interessanti mostre che a mio parere costituiscono un buon esempio di seria riscoperta del patrimonio culturale del territorio reggino. Si tratta della mostra Icone del Rinascimento: dal marmo al digitale inaugurata lo scorso 26 aprile presso il Museo Diocesano di Reggio Calabria e la mostra La pittura del Settecento a Reggio tra Accademie e Scuole di pittura che sarà inaugurata il 20 maggio presso la Pinacoteca civica di Reggio Calabria.

La prima, curata dalla direttrice del Museo Diocesano la dott.ssa Lucia Lojacono, riaccende l’interesse sull’itinerario scultoreo databile al periodo rinascimentale, presente nel territorio dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova Un patrimonio di statue databili tra Quattro e Cinquecento, custodito nei borghi antichi di Ortì Inferiore, Vito Inferiore e Cataforio, che espone tre pregevoli sculture sacre in marmo.

La seconda, curata dalla Professoressa Rosa Maria Cagliostro, dal prof. Mario Panarello, e dalla dott.ssa Maria Teresa Sorrenti, propone un’occasione per rileggere alla luce di nuove testimonianze documentarie e stimolanti confronti stilistici, testi figurativi noti e poco noti di maestri reggini del Settecento come Vincenzo Cannizzaro e Antonino Cilea.

Le due mostre di primavera a Reggio Calabria rimettono al centro dell’interesse opere ed artisti probabilmente poco conosciuti dal grande pubblico, ed essendo in questo di segno esattamente opposto alle cosidette mostre blockbuster messe sott’accusa, a buona ragione, da Tomaso Montanari e Vincenzo Trione nel loro pamphelet “Contro le mostre” (Einaudi).  Secondo i due autori, sono tantissime, troppe, le mostre organizzate come forma di puro intrattenimento dove l’opera d’arte costituisce una mera esca estetica e ad attrarre è la griffe del nome ( Caravaggio, gli Impressionisti, Van Gogh, Dalì); operazioni di marketing, dove quasi mai dietro c’è una ricerca originale e in definitiva c’è poco da imparare, ma molto da mettere a rischio con il trasporto di capolavori dell’arte.

Le due mostre reggine, al contrario, crediamo rispecchino proprio gli auspici dei due severi storici dell’arte: nascono innanzitutto da chi ha studiato e continua a studiare realmente il patrimonio culturale del territorio, facendo emergere dall’oblio, soprattutto per i non addetti ai lavori, opere e artisti che meritano di illuminare la storia dell’arte del territorio reggino.

Proprio in virtù degli studi che sottendono, in queste due mostre c’è molto da imparare seguendo il filo rosso che i curatori hanno utilizzato nel raccontare i legami esistenti tra le opere esposte, promuovendo la conoscenza e stimolando l’approfondimento. Due operazioni culturali davvero interessanti perché indicano una giusta direzione da seguire, prossima alle esigenze di un territorio che necessita di studi critici che consentano di ricucirne la storia e la storia dell’arte.

Anna Arcudi

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