venerdì,Aprile 26 2024

Il “Non finito calabrese” e il verismo di Gioacchino Criaco

Lo scrittore, nella sua ultima fatica letteraria, racconta le “cattive abitudini” che caratterizzano la nostra nazione

Il “Non finito calabrese” e il verismo di Gioacchino Criaco

di Silvana Borgese – Le analisi di Criaco hanno il crisma di un’appartenenza originaria, un’appartenenza  che egli attraversa  e ripercorre costantemente e  di cui sembra aver assunto l’onere di un esame onesto e  scorticante, se pur sofferto.  Un’analisi condotta – e ciò è dirimente- nello spirito di un “i care” che è cifra forte del suo rapporto con la stessa appartenenza. L’approccio è riconoscibile: narrazioni o, se vogliamo, geografie fisiche, sociali e politiche, che proiettano immagini nitide e potenti dei luoghi mentali della calabresità. Che sono poi un tutt’uno con la mappa del sentire, del  vedere e del vivere di questa terra.

Ma quando l’appartenenza  di Gioacchino Criaco si mostra connotata oltre che territorialmente anche socialmente, le sue veristiche narrazioni  impattano frontalmente anche i più consolidati giudizi, mettendo a nudo scorciatoie e mistificazioni e imponendo, quindi, profondità e  problematicità dello sguardo. Capita, così, che sulle sue tracce, l’unilateralità della prospettiva con cui spesso si guarda alle cose nostrane sia costretta a bidirezionarsi, aggiungendo ad un’ottica meramente descrittivo-reattiva una dimensione più propriamente esplicativa. Il che non significa accettare o cambiare segno al giudizio sulle storture o devianze di questa terra, ma imparare a vederle nella loro complessità e radice, “umanizzarle”  storicamente direi.

E sarebbe importante che di un tale approccio noi calabresi ci facessimo carico – e ripeto, fuori da ogni tentativo di negare i mali della Calabria o rivendicare felici passati – per insegnare al resto del paese il senso di un’attenzione onesta, che possa avere ragione di ogni pulsione di colonizzazione  o delle sprezzanti censure cui ormai sembriamo rassegnati. È successo inizialmente con “Anime nere”, ma questo riorientamento di prospettiva si impone continuando a leggere nel tempo Gioacchino. E andando a quel “Non finito calabrese”, pubblicato recentemente sul suo profilo Facebook, a quelle case le cui facciate nude guastano lo sguardo e sollecitano (com’è giusto che sia) la riprovazione estetico-civica, egli, a conferma di quanto sopra detto, non si ferma alla stigmatizzazione. Si introduce nelle stanze per vedere scorrere la vita di quelle case, le aspirazioni che ne sono state i mattoni, l’attaccamento familiare quale loro cemento e le delusioni per il vuoto non a suo tempo contemplato. Una spiazzante interrogazione sociologica se non antropologico-culturale, alla ricerca di matrici e moventi che dicano  la realtà piena del fenomeno.

E si finisce per imbattersi in una storia che, se esteticamente  e urbanisticamente è pur sempre brutta, risulta però all’origine in sé pulita e onesta, quindi  umanamente non censurabile. Una storia triste, con un epilogo tradito dalle direzioni che ha preso il mondo e che certo non potevano rientrare nel calcolo e  nelle previsioni di chi, povero di mezzi, cultura ed estetica, dimensionava il proprio riscatto sui parametri della  angusta contrada di riferimento e/o modellava l’agognato nuovo status sociale sull’allora  ceto  dominante. E dunque case e scuola per i figli, investimenti  entrambe  traditi da tornanti evolutivi del tutto imprevisti.

Una storia, quindi, che ha certo contribuito molto al degrado estetico dei nostri ambienti, soprattutto in considerazione dell’omessa regolazione  amministrativa e conseguente controllo e  sanzionamento dei comportamenti in questione, ma che, ripeto, perlomeno  nasce originariamente pulita, e, pertanto, sideralmente distante da tutto il “non finito” pubblico che dilaga  in l’Italia, e che racconta non certo buone intenzioni e investimenti  sbagliati, ma truffe, corruzione, malaffare  e incalcolabili sperperi scaricati sulla comunità. La malapianta della terra italica insomma, alimentata dal preoccupante deficit di etica pubblica, di cui la brava gente dello Stivale è sovente portatrice. E per concludere, allora, grazie a Gioacchino Criaco, che con il suo impegnato esercizio di riflessione ci aiuta a comprendere meglio le nostre stesse realtà. 

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