Giornata della memoria, “Un mondo di mondi”: «Dinamiche razziste ancora molto attive»
Per l'associazione: «Alcuni fatti determinati da queste dinamiche operative ai nostri giorni sono: il costante massacro delle persone migranti con la complicità esplicita dei paesi Europei»
Riceviamo e pubblichiamo da Un mondo di mondi
Il 27 gennaio , come ogni anno, si celebra la Memoria mentre le dinamiche razziste che hanno generato l’Olocausto , sia pure con le dovute differenze , sono ancora oggi molto attive anche strutturalmente.
Alcuni fatti determinati da queste dinamiche operative ai nostri giorni sono: il costante massacro delle persone migranti con la complicità esplicita dei paesi Europei , i ghetti strutturali delle città dove vengono emarginate sistematicamente le persone più povere ed i migranti, la scelta dei governi di sacrificare nella lotta alla pandemia le persone più povere e gli anziani, la costante disumanizzazione dei soggetti a cui viene riservato un trattamento di svantaggio .
A questi fatti attuali, sviluppati dallo stesso razzismo che ha prodotto l’Olocausto, le celebrazioni della Memoria dedicano un’attenzione del tutto marginale. Difatti lo sterminio nei campi di concentramento nazisti è considerato come un fatto storico scollegato e separato dalla storia e dalla civiltà della Modernità occidentale e quindi dovuto esclusivamente alla malvagità dei nazisti .
Questo è il gravissimo errore che si commette, perché l’Olocausto, purtroppo, è il prodotto diretto della struttura della civiltà Occidentale ed in particolare del razzismo nato con la Modernità Occidentale . Non ammetterlo significa continuare a non agire per contrastare adeguatamente i “lati oscuri” della nostra civiltà come sta avvenendo. Questa analisi dell’Olocausto che non viene considerata per assolvere la civiltà occidentale è , invece, riportata dalle ricerche di importanti esperti e quindi da una letteratura che purtroppo è volutamente ignorata. Uno dei testi importanti di questa letteratura è senza dubbio il libro Modernità ed Olocausto del famoso sociologo Zygmunt Bauman, edito dal Mulino nel 1992.
Riportiamo di seguito un brano di questo testo (pgg14- 30) : “…l’Olocausto non fu semplicemente un “problema ebraico” e non soltanto un evento della “storia ebraica”. L’Olocausto fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano: ecco perché è un problema di tale società, di tale civiltà e di tale cultura”. Per questo motivo l’autoassoluzione della memoria storica che ha luogo nella coscienza della società moderna è più di un’oltraggiosa non curanza per le vittime del genocidio. E’ anche il segno di una cecità pericolosa e potenzialmente suicida. … La verità è che ogni «ingrediente» dell’Olocausto – tutte le cose che lo avevano reso possibile – era normale; «normale» non nel senso di familiare come può esserlo un nuovo esemplare appartenente a una vasta classe di fenomeni già da tempo esaurientemente descritti, spiegati e classificati (al contrario, l’esperienza dell’Olocausto fu nuova e sconosciuta), bensì nel senso della piena coerenza con tutto ciò che sappiamo della nostra civiltà, del suo principio ispiratore, delle sue priorità, della sua immanente visione del mondo, nonché della corretta maniera di perseguire contemporaneamente la felicità umana e una società perfetta. Ecco quanto hanno scritto in proposito Stillman e Pfaff:
“C’è più di un legame esclusivamente fortuito tra la tecnologia della produzione di massa, con la sua visione dell’abbondanza materiale universale, e la tecnologia del campo di concentramento, con la sua visione seriale della morte. Si può desiderare di negare tale connessione, ma Buchenwald appartiene all’Occidente tanto quanto Detroit: è impossibile rifiutare Buchenwald in quanto aberrazione casuale di un mondo occidentale fondamentalmente sano” .
Ci sia anche consentito di richiamare la conclusione che Raul Hilberg ha raggiunto alla fine del suo insuperato, magistrale studio sugli esiti dell’Olocausto: «La macchina della distruzione, dunque, non era strutturalmente diversa dall’organizzazione sociale tedesca nel suo complesso. La macchina della distruzione “era” la comunità organizzata in uno dei suoi ruoli specifici» .”