Reggio, all’Osservatorio sulla ‘ndrangheta “Chiamami quando arrivi” – FOTO

Ci sono i sorrisi, i rimpianti e le lacrime nelle scene tratte dalla vita familiare nelle quali, per un verso o un altro, ogni spettatore si può riconoscere. È questa la forza di “Chiamami quando arrivi”, la pièce scritta da Tiziana Bianca Calabrò, con Renata Falcone e Cinzia Messina, per la regia di Basilio Musolino, scene e costumi Caterina Casile, che ha fatto l’esordio a Reggio dopo il debutto nella primavera scorsa a Messina al Teatro dei Naviganti.

Lo spettacolo fa parte della rassegna “Esistenze”, messa in scena dalla Compagnia ‘Ucriu, teatro Proskenion. E ha visto le attrici protagoniste nel piccolo teatro dell’Osservatorio sulla ‘Ndrangheta, di Croce Valanidi, gestito dall’associazione Antigone.

Le sorelle

La foto di un ricordo di famiglia è il fil rouge che tiene legati i dialoghi di Ines e Bianca, due sorelle diverse come il giorno e la notte. Entrambe, in sosta alla fermata del bus che porterà lontano Ines, sono alla resa dei conti della loro vita. Un lungo dialogo le porte dentro e fuori dalle storie della vita familiare. Con la percezione de “La Cura” di Battiato che funge da separè per le loro esistenze: Renata Falcone nei panni di Ines la “calimera” e anima nera della famiglia, borderline, estroversa e luminosa nella sua follia e Bianca, l’impeccabile Cinzia Messina, candida come il nome che porta, studiosa, perfettina e, nonostante possa sembrare burbera, dall’animo protettivo, tutte e due portano addosso e mettono finalmente in piazza le loro ferite.

La cura

La stazione dei bus si trasforma, a partire dall’istante raccontato dalla foto, in una macchina del tempo, in cui le due sorelle litigano, divertono, tramandano gesta e ricordi e cercano di decodificare i punti nodali della vita della famiglia: il rapporto come la madre (Che ancora al telefono dice a Bianca “Chiama quando arrivi”), la cura del padre gravemente malato fino all’ultimo suo respiro al quale hanno assistito disperate; le vite dopo il matrimonio, i divorzi di Ines, le separazioni, il modo in cui l’essere figlie ha influenzato l’essere genitori.

La scrittura

Una scrittura composta ma viscerale tiene per mano nel vivace revival familiare, con le incompiute, con i segreti, con le domande, abilmente poste. Toccante il monologo finale in cui Renata Falcone svela il segreto, con la bravura nel saper portare allo spettatore i disagi e le emozioni che tempestano l’animo umano.

Come chiarisce Calabrò nel ringraziare il pubblico: «Il teatro non è un’attività intellettuale, ma un coro e un maestro di vita che ci fa capire quanto siamo connessi».

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