“PPP Amore e Lotta. Dico il vero”, al Cilea il dramma della famiglia Pasolini

È in scena il dramma dei drammi. «L’incubo di ogni madre è compiuto. Vedere morire i proprio figli». La madre è quella di Pier Paolo Pasolini e del fratello Guido. Ieri sera al Cilea, dopo la mattinata dedicata alle scuole, la prima di “PPP Amore e Lotta. Dico il vero”, nuovo spettacolo delle Officine Jonike Arti dedicato a Pier Paolo Pasolini. Dopo lo studio presentato a dicembre, la compagnia reggina torna con lo spettacolo, scritto da Katia Colica, per la regia di Matteo Tarasco, in versione definitiva. Le scenografie sono di Lazzaro-Melis, le musiche originali di Antonio Aprile, i costumi di Malaterra, aiuto regia Arianna Ilari.

Amore e lotta

Una donna con l’ombrello che funge da corazza sottile, come il guscio delle lumache, una casa che le tenga al caldo la mente, sorpassata di ricordi, di gioie svanite, delle perdite. Si muove come un’ombra cinese sul palco, sottile presenza, un ricordo di tragedia greca. È una madre che ha già perso il figlio ventenne e che ora aspetta il ritorno di un altro figlio, il pane e forse anche giustizia.

E poi c’è Guido, «morto per la libertà» o solo «morto e basta», altra ombra guardinga, attento al nemico, mascherato per poco da amico, traditore. Guido, imprigionato nella scena della sua uccisione nelle malghe di Porzûs, che veglia sul fratello fino al giorno del ferale ricongiungimento.

E al centro della scena Pier Paolo, nel suo humus, il battere della dita sulla macchina da scrivere, i suoi fogli, le sue poesie, il suo modo di cambiare le cose, aprire le menti, in controtendenza.

La scena è un incrocio in una dimensione parallela, dentro una tempesta perenne, un triangolo delle Bermuda di figure che spariscono e ritornano per commuovere con le loro storie.

Tocca ad Americo Melchionda il ruolo dell’indimenticato Pasolini. L’immagine, i suoi gesti, la voce sono perfetti, sembra di averlo davanti. Maria Milasi è calata nella maschera di attesa e dolore della madre Susanna, connessa e senza strafare e Andrea Puglisi è il giovane fratello Guido. Per lui in particolare modulare l’accento friulano, da attore catanese, ha richiesto uno sforzo particolare che lo ha reso impeccabile.

La narrazione

Le parole scelte per la narrazione sono piccole lame che strattonano lo spettatore ora qua, in uno scenario di pallottole e di guerra, ora là, nella fredda terra dell’idroscalo di Ostia, polverosa, insanguinata, calpestata dagli assassini di Pier Paolo. E, infine, alla finestra, nell’attesa di madre che si crogiola in un tempo infinito, interrotta solo da quel morso nelle viscere che sente, cuore connesso, nella notte dell’omicidio.

Un tempo spazio che consente ai protagonisti del dramma un confronto, parole sincere, finalmente una resa dei conti d’amore: per Guido che era partito per la guerra, nonostante tutto. E Pier Paolo che non lo aveva fermato? E una madre che seminava amore e lotta, come briciole di Hansel e Gretel, nelle favole che ai suoi bimbi raccontava («Le tue parole erano precetti»). Il risultato sono due fratelli che sognavano di aggiustare le cose.

La morte che inizialmente separa le strade, che lascia Guido trucidato dai partigiani di Tito, Pier Paolo col viso ridotto a una maschera di sangue Ostia, e una madre in una dimensione di attesa spasmodica, alla fine riunisce tre anime al centro della scena. Dove tutto è stato detto. Ma la giustizia resta bendata e di spalle su tutta la vicenda.

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