giovedì,Maggio 2 2024

MITI E MISTERI METROPOLITANI | La leggenda di Colapesce

Antichissima leggenda dell’area dello Stretto, fu trascritta anche da Italo Calvino, dipinta da Guttuso e musicata da Otello Profazio

MITI E MISTERI METROPOLITANI | La leggenda di Colapesce

Il braccio di mare che separa la Calabria dalla Sicilia è sempre stato avvolto da un’aura misteriosa e leggendaria. Basta pensare alla Fata Morgana, alle Sirene, a Scilla e Cariddi. Ma una delle leggende popolari più antiche tra le due sponde è senz’altro quella del mitico Colapesce.

Cola, mezzo uomo e mezzo pesce

Conosciuto anche come Piscicola, Nicola Pipe e Gialanti Pisci, il suo nome offrì spunti a poeti e scrittori d’ogni dove e le sue gesta stupirono re e imperatori. Secondo i racconti, Colapesce era un abilissimo nuotatore che conosceva ogni cosa delle acque dello Stretto, affrontava le tempeste, soccorreva i marinai e domava la furia di Scilla e Cariddi. Trascorreva così tanto tempo in mare che la madre non potendone più di vederlo sempre a bagno un giorno si lasciò sfuggire un’imprecazione: che si trasformasse in un pesce. La maledizione si avverò e Cola diventò mezzo uomo e mezzo pesce, non tornò più sulla terra e continuò a vivere il suo mare compiendo eroiche gesta.

Colapesce, il re e le lenticchie

L’eco della sua fama giunse persino alle porte del regno. Il re lo mandò a chiamare e Cola lo strabiliò con le sue mirabolanti storie. Sempre più curioso, il re lo mise alla prova. Gettò in acqua una coppa d’oro e gli ordinò di ripescarla. Cola si tuffò e riaffiorò presto con la fulgida coppa. Il gioco continuò a lungo finché Cola non risalì spaventato. Impaziente il sovrano gli chiese cosa avesse visto e Cola raccontò che aveva nuotato sempre più a fondo fin quando rischiarato dalla luce di un fuoco gigantesco aveva trovato l’oggetto.

Quel fuoco comprometteva le fondamenta della terra dello Stretto. Essa, infatti, poggiava su tre immense colonne delle quali una era crollata, l’altra corrosa e la terza stava ardendo sotto le fiamme. Il re non riusciva a crederci e invitò Cola a tuffarsi un’ultima volta per portargli una prova. Vedendo che Cola tentennava lanciò in mare la corona del regno.

A quel punto Cola capì che non poteva tirarsi indietro e chiese una torcia e una manciata di lenticchie: così se non fosse riuscito a risalire, sarebbero tornate a galla. Quindi si tuffò. Passarono i giorni, fino a che non si vide qualcosa che increspava l’acqua. Erano un pugno di lenticchie e una torcia bruciata. ColaPesce non tornò mai più. Si narra che sia ancora tra le profondità degli abissi intento a sostenere col suo peso la terra dello Stretto per evitare che sprofondi.

Il mito di Colapesce: da Guttuso a Profazio

La leggenda di Colapesce ha origini antichissime che si fanno risalire al XII secolo. Nel tempo, ha ispirato pittori, scrittori e musicisti diventando oggetto di vere e proprie d’opere d’arte nelle sue numerosissime versioni, da quella siciliana e dello Stretto a quella napoletana.

Trascritta anche da Italo Calvino, la leggenda di Colapesce è stata rappresentata persino da Renato Guttuso in un’opera omonima del 1985. Una celebre canzone è quella del cantante folk calabrese Otello Profazio che ha musicato la leggenda nell’album del 1965, “Storie e leggende del Sud”.

«Nta lu fundu di lu mari, Chi non pozzu cchiù tornari, Vui pregati la Madonna, Staju reggendo la colonna…Su passati ormai tant’anni: Colapisci è sempri ddhà! » canta Profazio e ancora oggi ci piace immaginarlo nel profondo dello Stretto a tenere a bada Scilla e Cariddi.

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