mercoledì,Maggio 1 2024

Pasquino Crupi, il ritratto inedito dell’uomo dietro alla figura politica

In una intervista esclusiva il figlio Vincenzo racconta alcuni aneddoti che ci aiutano a scoprire l'aspetto umano - tra famiglia e fede - del più grande meridionalista contemporaneo

Pasquino Crupi, il ritratto inedito dell’uomo dietro alla figura politica

La storia ci insegna che, per capire il pensiero e la filosofia di un uomo, bisogna indagare sul suo passato. Conoscere il suo vissuto per capire quali esperienze lo abbiano portato a formulare un pensiero simile. Questo ragionamento vale sia per i più piccoli che per i più grandi, quindi anche per Pasquino Crupi, che da ormai dieci anni siede nell’Olimpo dei più grandi uomini di cultura che hanno fatto la storia del nostro Paese.

Per capire chi è Pasquino Crupi, ma soprattutto chi è l’uomo dietro al pensiero socialista e meridionalista, ci siamo affidati al racconto del figlio Vincenzo, che ci accoglie nel vecchio studio di papà Pasquino: odore di sigaro, libri e soprattutto un quadro, dono di un amico pittore, che ritrae nonno Pasquino con in braccio il nipote omonimo il giorno del battesimo. «Gli occhi sono identici, proprio come li ricordo» ci dice Vincenzo. E quello del ritratto è lo sguardo di un uomo buono, consapevole, addolcito dall’età.

Vincenzo Crupi di professione avvocato, è sicuramente noto anche per il fatto di essere stato sindaco di Bova Marina tra il 2014 ed il 2016, unanimemente riconosciuto tra i primi cittadini più amati della storia recente del comune grecanico.

«Mio padre per un lungo periodo è stato completamente assorbito dalle attività culturali e dalla politica. Era una figura sicuramente presente, anche se spesso non fisicamente a causa degli orari che faceva. Rientrava a casa tardi e spariva nel suo studio, dietro ai libri fino alle prime luci dell’alba. Dedicava anima e cuore alla letteratura ed alla ricerca. Tuttavia, era una personalità fortissima, empatica, che riuscivi a percepire anche senza vederla».

Quale ricordo di tuo padre ti è rimasto più impresso?

«Quello dell’uomo sempre pronto ad aiutare gli altri, soprattutto i più deboli, chi soffre, chi vive un momento di difficoltà o di smarrimento. Ecco, lui non ha mai chiuso la porta in faccia a nessuno, e per me questa è la sua più grande eredità umana. Insieme anche al senso del dovere, senza tirarsi mai indietro. Qualche giorno prima che morisse venne a mancare uno dei suoi amici dei Poeti in piazza. Mio padre stava male ed il suo stato di salute era definitivamente compromesso, ma volle comunque andare al suo funerale. Era estate, faceva caldo e per raggiungere la chiesetta dove si sarebbero svolte le esequie si doveva fare un bel tratto di strada a piedi. Gli chiesi preoccupato: “papà, ma dove vai?” Lui rispose semplicemente: “non posso farne a meno, devo andare a salutare un amico”».

Uno spirito di attaccamento agli amici figlio di un forte legame con le proprie idee, e viceversa.

«Bisogna sempre lottare – diceva – per le proprie idee, anche quando la maggioranza la pensa diversamente da te, e soprattutto andare contro il pensiero unico. Mio padre è stato sempre un irregolare, un anticonformista. Raccontava che suo padre Vincenzo, mio nonno, diceva che “per l’ideale bisogna morire”, aggiungendo con la sua spiccata ironia che “infatti si rischiava di morire di fame”, ricordando le umili origini da cui proveniva e la strada fatta – grazie allo studio ed ai sacrifici della famiglia e specialmente del fratello maggiore Giuseppe per permetterglieli – per emanciparsi. Parabola del suo pensiero meridionalista».

Una continua ricerca, non solo culturale ma anche religiosa, il cui intreccio lo ha portato a scoprire addirittura la fede.

«Lui diceva che era ateo, ma aveva un rapporto tutto suo con la religione ed in particolare con la Madonna di Polsi, perché sua madre, mia nonna, ne era molto devota. Così quando morì, lui si avvicinò alla sfera religiosa dedicando anche due libri al santuario. Si avvicinò alla fede anche grazie all’incontro con Don Giosafatto Trimboli, che era all’epoca il rettore del Santuario. Approfondendone la conoscenza e l’amicizia, con lui iniziò a legarsi sempre di più al santuario, dove andava spesso in ritiro anche per settimane. Aveva proprio la sua celletta dove si raccoglieva e studiava. Dopo tempo, Don Trimboli morì a causa di un infarto, e lui con la lucidità dell’uomo di cultura alla ricerca della fede scrisse un articolo che secondo me rimarrà nella storia. Più o meno recitava così: “Madonna, cosa hai combinato? Allora sei tu che non vuoi che mi avvicini alla fede?”».

Un messaggio molto forte. Dimostrazione che fino ai suoi ultimi giorni era alla ricerca del cambiamento. Quello che cercava e sperava anche per la nostra terra con la sua battaglia garantista contro la criminalizzazione sistematica del sud.

«Un messaggio, direi, attualissimo, viste le ultime manovre di Salvini con cui sta distraendo risorse dal sud destinandole al nord, nel silenzio sia del governo regionale – che pur essendo centrodestra dovrebbe difendere gli interessi dei calabresi – sia dell’opposizione che tutto è tranne che tale».

Si dovrebbe ripartire da una nuova classe dirigente locale.

«Siamo stati, entrambi – io e mio padre -, sindaci di Bova Marina. Anche se ero molto piccolo, ricordo benissimo quando lo era lui, e di quanto per lui fosse importante stare in mezzo alla gente, essere presente, ascoltarne i suoi problemi e cercare di rispondere alle necessità. Io, come lui, ho cercato di essere un sindaco “popolare”. E credo che questo suo insegnamento debba essere fatto proprio da tutti coloro che, oggi, vogliono fare politica a più livelli. Rispettando la dignità del sud, ed accogliendone i problemi».

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