Dantedì, Reggio terra d’Ausonia nelle preziose terzine della Divina Commedia del Sommo Poeta – FOTO

«Nel luogo in cui l’Apsia, il più sacro dei fiumi, sfocia nel mare, troverai una femmina che abbraccia un maschio; lì costruisci una città, il dio ti offre la terra degli Ausoni». Recitava così l’oracolo del dio Apollo che spinse un gruppo di Calcidesi, nell’VIII secolo A.C., ad avventurarsi nel mare Ionio a cercare la nostra terra, l’antica Terra di Ausonia, per fondare una città chiamata Reghion. Nome con ogni probabilità derivante dal verbo greco ρήγνυμι, reghnümi, rompere, spaccare, in riferimento all’avvenuto distacco dalla Sicilia.

L’antica terra d’Ausonia, e anche la baia di Catona, hanno il privilegio di essere citate nell’VIII canto del Paradiso della Divina Commedia (vv.61-63) dal Sommo Poeta che scrisse: «E quel corno d’Ausonia che s’imborga/di Bari e di Gaeta e di Catona/da ove Tronto e Verde in mare sgorga».

Nella narrazione del viaggio per antonomasia di Dante Alighieri, impreziosita da pregnanti simbolismi e sapienti allegorie, dalla forte ispirazione universale, spicca anche un riferimento ai nostri luoghi.

Dante e quella lingua che ci rese Italiani prima della Storia

Universalmente riconosciuto come padre della Lingua Italiana in quella “repubblica delle lettere” che fu la Firenze nel 1300 e che precedette di oltre cinque secoli la nascita dello Stato italiano, Dante Alighieri forgiò in terzine il monumentale viaggio dell’Umanità calata nella storia del suo tempo. Un viaggio che secondo i dantisti iniziò proprio il 25 marzo. Questa dunque è la data del Dantedì, la Giornata nazionale a lui dedicata e occasione per ricordare in Italia e nel mondo il suo genio inarrivabile.

Il viaggio dantesco, periglioso e salvifico

Esiliato dalla sua Firenze, il Ghibellin fuggiasco cantato da Foscolo ha “vissuto” per il tramite della sua penna il viaggio tormentato e affascinante in cui eterna è la ricerca dell’Amore «che a nullo amato amar perdona». Un viaggio si conclude in Paradiso dove «si puote ciò che si vuole».

Nella Divina Commedia si rivela l’erranza di ogni essere umano. In ogni parola vibra il pellegrinaggio di ogni anima dentro l’esistenza protesa alla scoperta della propria essenza. E questa si svela in tutta la sua profondità nel canto XXVI dell’Inferno, noto come canto di Ulisse: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza». Attraversando la selva oscura, guidato dal poeta latino Virgilio (la Ragione), Dante raggiunge il luogo in cui «La gloria di Colui che tutto move per l’universo penetra e rispende, in una parte più e meno altrove» (Paradiso, Canto I, 1-3).

Un viaggio ultraterreno in cui la diritta via prima smarrita e che culmina nell’incontro con Beatrice, incarnazione dell’Amore. Un cammino al termine del quale la Salvezza è dunque Donna.

La lingua e le parole della Divina Commedia

Simbolo di italianità nel mondo, Dante ha consacrato nelle sue opere l’importanza di una lingua comune, che di nulla priva i variegati e straordinari dialetti. Quel volgare fiorentino, il più illustre tra i volgari, fu antesignano della lingua dell’Italia, paese unitario solo nel 1861, il cui nome nacque proprio qui al Sud.

Secondo Antioco di Siracusa (Dion. Halic., I, 35), e anche secondo Aristotele, il principe di stirpe enotrica, Italo, che governò il territorio estremo della penisola compreso tra lo stretto di Messina e i golfi di Squillace e di Sant’Eufemia, in suo onore volle chiamare questo lembo di terra proprio Italia (cfr Treccani).

Attraverso il “De vulgari eloquentia” e il “Convivio”, ma soprattutto attraverso la “Divina Commedia”, Dante fu dunque padre della nostra lingua accanto alla lingua madre Latina. È stato calcolato che “il 90% del lessico fondamentale dell’italiano in uso oggi era già nella Divina Commedia (Treccani). Si tratta del 90% delle 2000 parole più frequenti, che a loro volta costituiscono il 90% di tutto ciò che si dice, si legge o si scrive ogni giorno.

Così l’Italiano, lingua neolatina (come le altre lingue romanze), riconosce nella Divina Commedia l’opera che l’ha consacrata come lingua letteraria del nostro Paese.

Immagini e suggestioni

Oltre quattordicimila versi in quel volgare fiorentino, il più illustre tra i volgari, scritti nel Trecento e ancora oggi espressioni di un capolavoro della letteratura universale. Gli oltre 800 manoscritti superstiti testimoniano l’unicum che la Commedia di Dante fu nella storia del libro prima dell’invenzione della stampa.

Un’opera senza tempo, ma immersa nel tempo dantesco, assurta a scrigno di sapienza e poesia esplorato e arricchito anche dalla mano di uno dei più autorevoli illustratori danteschi del Novecento, il maestro genovese Amos Nattini. Una delle commedie illustrate è custodita ed esposta presso la villetta De Nava della biblioteca Pietro De Nava di Reggio Calabria.

In occasione della donazione del cavaliere Gennaro Giuffrè, è stata consegnata anche la copia numero 445 di questa maestosa Divina Commedia illustrata da Nattini. Vi sono solo 1000 esemplari e sono numerati.

A Reggio uno dei mille esemplari

L’opera di stampa a torchio su carta della monumentale edizione della Divina Commedia, con caratteri ideati dall’illustratore stesso e ispirati ai “tipi latini primitivi”, venne ultimata solo nel 1939. Fu pubblicata dalla Casa Editrice Dante. I tre tomi (cm 81×65), rilegati in pelle di vitello, contengono le tre cantiche con illustrazioni – richiamate nell’opera come imagini fedeli all’etimologia latina imago -realizzate con la tecnica dell’acquerello. Solamente il canto I del Purgatorio è invece a olio.

Le prime tavole furono esposte in piena epoca fascista a Genova, Milano, Roma, Torino, Brescia, Viareggio, Napoli, Parigi, l’Aja, Nizza. In occasione dell’inaugurazione della loro mostra a Roma alla Casa di Dante alla Torre degli Anguillara nel 1927, il re Vittorio Emanuele III ricevette in dono la prima cantica. Un’altra copia fu successivamente donata al capo del governo Benito Mussolini e al Pontefice Pio IX. Una copia della Divina Commedia, come opera rappresentativa dell’arte e della cultura italiana, fu donata dal Duce a Hitler in visita alla Mostra italiana dell’Ottocento. Esse furono esposte anche al Musée Jeu de Paume di Parigi nel 1931.

«E uscimmo a riveder le stelle»

Quello di Dante è in realtà il viaggio dentro il cuore tormentato e beato dell’Umanità che, anche e soprattutto nella prova, si eleva ad esperienza universale. Un capolavoro che culmina in ogni cantica nella parola «stelle»:

«E quindi uscimmo a riveder le stelle». Inferno, Canto XXXIV 139-139 «puro e disposto a salire a le stelle».Purgatorio, Canto XXXIII 145-145, «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Paradiso, Canto XXXIII 145-145.
Un cammino che dalla selva oscura conduce laddove «la gloria di Colui che tutto move per l’universo penetra e rispende, in una parte più e meno altrove». Di questo cammino Dante Alighieri, penna e anima pellegrina, lascia una traccia viva capace di sopravvivere nei secoli.

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