Hotel Lungomare, Scopelliti replica a Klaus Davi: «Attaccate me, lasciate stare mio padre»

«L’ex candidato Klaus Davi mi ha chiamata in causa, per la vicenda del Covid Hotel che dovrebbe essere attivato presso il “Lungomare”. O meglio, purtroppo non chiama in causa me (in quel caso avrei ignorato come faccio sempre con gli attacchi personali), ma la memoria di mio padre». Così l’assessore comunale alla legalità Rosanna Scopelliti. 

«Scrive “Il Reggino” che Davi avrebbe pubblicato un video nel quale, per attaccare il sindaco Falcomatà, afferma che a «scegliere» il “Lungomare” è stata una Giunta nella quale «siede un assessore il cui padre è stato assassinato proprio dagli amici dei De Stefano e dei Libri». Aggiungendo poi, replicando al Vicesindaco Perna, che a nulla vale il certificato antimafia del vincitore del bando (perché di questo si è trattato, giova ricordarlo: di un bando pubblico). 

«Questa è la finta antimafia parolaia, burocratica, cinica», ha detto; chiosando con un sarcasmo davvero fuori luogo, lasciatevelo dire da chi figlia di una vittima lo è per davvero: «che consolazione per le vittime dei clan sapere che chi li finanziava aveva il ‘certificato’ sventolato da Perna».

Davi viene a parlare a me di quanto sia inutile l’antimafia burocratica? Come se non sapessi che i mandanti dell’omicidio di mio padre se chiedessero un certificato antimafia con buona probabilità lo otterrebbero. Davi viene a parlare a me di quanto sia inutile l’antimafia parolaia? Come se non avessi incontrato nella mia vita un esercito di quei politici, giornalisti o aspiranti tali che si riempiono la bocca del nome delle vittime, molti purtroppo anche con il nome di mio padre, solo per ottenere un po’ di visibilità. Davi viene a parlare a me di quanto sia cinica certa antimafia? Come se non sapessi che dopo trent’anni la mia famiglia è ancora qui a chiedere verità e giustizia anche perché non abbiamo mai accettato di piegarci al cinismo e alla retorica dell’antimafia dei salotti che contano.

Quando ho accettato di servire Reggio in questa giunta sapevo che tutti quelli che raramente si sono visti negli anni in cui ho portato avanti la memoria di papà con gli amici della Fondazione si sarebbero ricordati di Antonino Scopelliti solo per criticare e screditare il mio impegno politico. Lo avevo messo in conto. Dove erano costoro quando si diceva che Antonino Scopelliti era vittima per motivi di “femmine”? Dove erano quando giornalisti dalla dubbia onestà intellettuale lo dipingevano a tinte fosche? Lì l’indignazione era pericolosa, si toccava l’antimafia perbenista dei salotti e dei settimanali alla moda: il gioco non valeva, evidentemente, la visibilità.

Ma veniamo al merito. Cosa avrebbe dovuto fare la giunta, secondo Davi? Chiedere agli uffici di escludere dal bando il Lungomare? In quel caso sì che avrei dovuto prendere le distanze: la politica non può decidere chi può o non può aggiudicarsi un bando. Cosa avrebbe dovuto fare la figlia di una vittima di mafia? Chiedere al sindaco di revocare un appalto regolarmente concluso? Che idea strana di legalità. 

Occuparsi della cosa pubblica avendo come faro il bene pubblico e la legalità è altro. È lavoro costante, a testa bassa a studiare le carte, sono rinunce quotidiane in termini di normalità e affetti, è mettersi in gioco mettendoci faccia cuore e vita. Questa è la mia idea di antimafia non parolaia, non burocratica, non cinica. Per quel tipo di antimafia bastano le prime donne. E purtroppo ce ne sono tante». 

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