Salario minimo, raggiunto l’accordo sulla direttiva Ue

Raggiunto l’accordo sulla direttiva Ue per il salario minimo. Lo ha annunciato la Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo (Empl) sul suo account Twitter. I dettagli verranno illustrati in una conferenza stampa in programma stamani alle 9.30 a Strasburgo. La sala per la trattativa sulla proposta di direttiva sui salari minimi adeguati nell’Unione europea, presentata dalla Commissione Ue nell’ottobre del 2020, è stata riservata fino alle cinque del mattino, per una maratona negoziale che è iniziata alle 19 di ieri sera. L’intesa è arrivata poco dopo le 4 di stamattina.

La direttiva non impone di cambiare i sistemi nazionali esistenti, ma nel rispetto delle differenze dei modelli di mercato del lavoro tra i diversi Stati membri, stabilisce un quadro procedurale per promuovere salari minimi «adeguati ed equi» in tutta l’Ue. Anche perché i Trattati vietano alla Commissione Ue di legiferare in materia di remunerazioni. Attualmente il salario minimo legale esiste in 21 Paesi. Fanno eccezione Italia, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia, Cipro dove c’è la contrattazione collettiva. La Germania, qualche giorno fa, ha alzato il suo salario minimo a 12 euro l’ora. Ma le differenze tra i Paesi Ue sono notevoli. Si va dai 332 euro al mese della Bulgaria ai 2.202 del Lussemburgo.

Secondo la Commissione Ue nella maggior parte degli Stati membri, l’adeguatezza del salario minimo è insufficiente oppure vi sono lacune nella copertura della protezione. Di qui la direttiva che mira a «garantire una vita dignitosa ai lavoratori e ridurre la povertà lavorativa». La direttiva promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e livelli adeguati di salari minimi legali, punta a migliorare l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per tutti i lavoratori e prevede la presentazione di relazioni sulla copertura e l’adeguatezza dei salari minimi da parte degli Stati membri.

Un provvedimento molto atteso in Italia che il ministro Andrea Orlando ha definito «un assist per i lavoratori». A Bruxelles sono certi che l’impatto della direttiva non sarà «negativo per la creazione dei posti di lavoro e per l’occupazione», come ha già avvertito il commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit, ricordando che dopo l’introduzione in Germania l’occupazione è anzi aumentata e che nell’Ue non saranno comunque previsti massimi e minimi salariali. L’idea delle tre istituzioni europee nell’accordo in via di approvazione è di rispettare le diverse tradizioni di welfare dei Ventisette, arrivando però a garantire «un tenore di vita dignitoso», a ridurre le disuguaglianze e a mettere un freno ai contratti precari e pirata. Si mira poi a «rafforzare il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva».

La copertura della contrattazione collettiva in particolare dovrebbe venir fissata in una soglia compresa tra il 70% e l’80%, stando ai due obiettivi fissati rispettivamente da Commissione e Parlamento europeo e all’interno dei quali dovrebbe essere trovato un compromesso. La nuova direttiva europea potrebbe così essere approvata definitivamente entro giugno facendo scattare da quel momento la tagliola dei due anni per il recepimento negli ordinamenti nazionali. Il provvedimento europeo, ha osservato Orlando, «spingerà di più verso interventi che salvaguardino i livelli di salario più bassi e verso una disciplina organica».

Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha invitato a non ascoltare l’Europa «solo quando ci dice di tagliare le pensioni o cancellare l’articolo 18 o tagliare la spesa sociale. Se finalmente tutta l’Europa si rende conto che salari bassi e lavoratori precari senza diritti mettono in discussione tenuta social, bisogna ascoltarla». «Abbiamo un problema drammatico di lavoro povero – la denuncia del segretario del Partito democratico Enrico Letta -. Noi siamo a favore del salario minimo, nella logica della direttiva Ue. Il salario minimo serve a togliere il più possibile dal tavolo le fattispecie di lavoro povero». Per il vice presidente di FI Antonio Tajani invece, «si rischia di abbassare gli stipendi piuttosto che aumentarli». Mentre per la leader di FdI Giorgia Meloni è «un’arma di distrazione di massa», quando andrebbe tagliato il cuneo fiscale. Il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte ha definito «indegno» cercare di rimuovere il reddito di cittadinanza, «anzi dobbiamo lavorare per allargare il fronte – ha ribadito – introducendo anche il salario minimo».

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