Miti e misteri | Madonna della Consolazione: l’”avvocata” di Reggio tra storia e leggenda

Compatrona della città, avvocata del popolo. Il culto della Madonna della Consolazione da secoli si fonde con la storia stessa di Reggio e culmina nella festa di settembre a lei dedicata. La festa per eccellenza, in cui tutto si ferma per rendere omaggio alla “vara” nel giorno della processione. Dalla calata dall’Eremo alla “volata” dentro il Duomo e nei giorni successivi. Una devozione, quella dei reggini, ininterrotta e crescente nel tempo che si è consolidata fin dal ‘500 quando, secondo la tradizione, la città fu colpita da una tremenda pestilenza che la flagellò. 

La peste e la nascita del santuario

Correva l’anno 1577. Reggio era falcidiata da un’epidemia di peste portata dalla vicina Messina. I lazzaretti erano gremiti e tutte le vie cittadine trasudavano odore di pestilenza. Solo nel convento dei cappuccini, eretto nella zona alta della città, si respirava aria salubre. 

Secondo la tradizione il monastero era sorto, per devozione alla Madonna della Consolazione, dove sorgeva una piccola edicola custodita dai monaci. Si narra, infatti, che un giorno un contadino mentre zappava la terra trovò il quadro della Vergine e lo consegnò ai frati. Secondo un’altra versione, la tela sarebbe stata portata a Reggio da una famiglia genovese sconosciuta e subito donata ai frati della cappella sulla collina. La leggenda vuole ancora che il dipinto, trasportato più volte nella cattedrale della città, riapparisse miracolosamente nel luogo dove era stato custodito sin dall’inizio. I fedeli interpretarono il prodigio come il segno con cui la Madonna chiedeva di erigere lì la sua chiesa. E fu così che all’Eremo sorse il Santuario della Madonna della Consolazione. 

Il mistero del dipinto

Nel luogo in cui sorse il convento nel 1533, “sito ameno e favorevole alla meditazione” si legge nei libri di storia, da tempo immemorabile si venerava una antichissima effigie della Madonna, le cui origini rimangono tuttora, come detto, avvolte dal mistero. 

Il quadro, a quanto emerge dalle fonti, era molto piccolo e dipinto molto probabilmente alla “greca”, quindi con una icona che raffigurava un’”odigitria”, associata al prototipo bizantino. Sembra che essendo ormai logoro per vecchiezza fu commissionato il nuovo quadro a Nicolò Andrea Capriolo, a cura e spese del nobile cittadino Camillo Diano, il quale, per sua devozione, si portò a casa propria il vecchio dipinto mentre il nuovo, più grande e maestoso ne prese il posto nel 1547. Tuttavia, sul precedente quadro si rincorrono le ipotesi, infatti il dipinto, considerate le tecniche pittoriche degli ortodossi per molti non poteva essere così logoro e probabilmente si volle sostituire in quanto piccolo e con l’intento di “dimenticarne” l’origine orientale. Chissà se il vecchio quadretto, preso come sacro ricordo dal Diano, perdurò nei secoli e magari passò di generazione in generazione, potendosi reperire ancora oggi presso qualche erede. 

Ad ogni modo, qualunque sia l’origine del dipinto, fu innanzi a quello nuovo del Capriolo, che raffigura la Vergine che sorregge il bambino, con San Francesco, Sant’Antonio da Padova e due angeli, che pregò il frate cappuccino cui apparve la Madonna annunciando la fine dell’epidemia. 

Fra’ Antonino Tripodi

Tra i monaci che vivevano allora nel cenobio, infatti, ve ne era uno particolarmente nobile d’animo, fra’ Antonino Tripodi, il quale, era così rattristato dalla sorte toccata ai reggini che chiese ai propri superiori il permesso di recarsi tra gli appestati per portare loro aiuto e conforto. Ma le sue richieste furono vane. All’umile fraticello non restava, perciò, che pregare, e tutte le sere si inginocchiava davanti alla sacra icona implorando per la sua gente. Una notte che le grida dei malati giungevano alle sue orecchie più atroci del solito si prostrò, piangendo, ai piedi dell’effigie della Madonna chiedendo soccorso. Improvvisamente la Vergine parlò, annunciandogli l’imminente fine dell’epidemia. Il giorno dopo, secondo le testimonianze storiche, la peste era cessata. 

«Ora e sempre, evviva Maria»

Ne seguì un pellegrinaggio da parte di tutto il popolo reggino che si recò in massa all’Eremo per ringraziare la vergine. E da allora, in ogni momento di calamità e difficoltà i reggini si rivolsero alla Madonna della Consolazione che venne proclamata “patrona della città” e celebrata ogni anno, ininterrottamente, con una grande festa popolare. 

Ancora oggi, il secondo sabato di settembre, davanti a tutta la cittadinanza, i portatori, sotto l’immane peso della vara, accompagnano la venerata effigie in processione dall’Eremo al Duomo, gridando forte: «Ora e sempre, evviva Maria!».

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