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DE GUSTIBUS | Caciocavallo di Ciminà, sapore antico e deciso

Inserito nell’elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Calabria, dal 2008 anche una De.Co.

DE GUSTIBUS | Caciocavallo di Ciminà, sapore antico e deciso

Ricorda aromi come il miele, zucchero tostato e frutta secca. È consumato freschissimo. Non ha crosta. La pasta è bianca, umida, leggermente fibrosa ed elastica. Ha un gusto dolce e delicato, aroma medio-basso, con sentori di burro fresco. Si consuma a fette preferibilmente arrostite sulla griglia, con una fetta di pane e un filo d’olio Evo, abbinato a vini rossi o rosati, giovani, freschi. Un capolavoro dall’interminabile persistenza. Stiamo parlando del caciocavallo di Ciminà.

Ciminà è un comune di 700 abitanti della Locride, il cui territorio ricade nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Il caciocavallo si produce in questa zona da tempi immemorabili. Nella Grecìa calabra, il nome stesso di Ciminà deriva dal greco kyminà, ovvero luogo dove abbonda il cumino selvatico o ciminaia. Come è ormai certo, il caciocavallo trova infatti il suo antenato nel kaskaval, una pasta filata prodotta ancora oggi dalla Macedonia alle isole dell’Egeo.

Come si presenta

Come dicevamo, il caciocavallo di Ciminà è un formaggio a pasta filata tradizionale prodotto da latte intero crudo vaccino o misto caprino, la cui forma è allungata a doppia testa del peso di 400-500 g, oppure di forma classica ovoidale del peso massimo di 3 kg. Si pensa che storicamente il nome possa derivare dall’asciugatura a cavalcioni (“u casu a cavaju”). I produttori che ancora oggi forniscono questa prelibatezza, ricordano che la tradizione risale ad almeno tre generazioni fa, ma essendo un prodotto tipico delle famiglie povere di campagna potrebbe risalire anche più in là nel tempo.

Anticamente era un prodotto come altri. Costituiva parte del sostentamento di una popolazione povera, dedita all’agricoltura e alla pastorizia. Oggi sta diventando, per le sue caratteristiche nutrizionali e organolettiche dovute principalmente alla qualità dei pascoli aspromontani, un prodotto molto apprezzato ed evocativo di antiche culture e tradizioni. Da qualche anno chi è attento alle produzioni agroalimentari di nicchia ha riscoperto il prezioso latticino. L’attenzione verso questo formaggio ha permesso, attraverso varie tappe, di farlo conoscere oltre i confini regionali e nazionali.

Presidio Slow Food

Il “Caciocavallo di Ciminà” è inserito nell’elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Calabria. Dal 2008 il Comune ne ha istituito una De.Co. (Denominazione Comunale), inoltre Slow Food, associazione non-profit che promuove il consumo di “cibo buono, pulito e giusto” ne ha fatto uno dei suoi presidi.

Le aziende che operano nel settore stanno seguendo i cambiamenti in atto. Da piccole produzioni per il consumo locale a produzioni più ampie anche se, comunque, riservate ad un mercato. Grazie, inoltre, all’utilizzo di risorse economiche provenienti dall’ UE e rese disponibili dal “PSR Calabria” si sta assistendo all’ammodernamento delle aziende e al miglioramento delle tecniche di caseificazione che garantiscono all’intera filiera livelli di produzione quali-quantitativi adeguati alle richieste del mercato.

Di particolare rilevanza è la costituzione dell’ “Associazione Caciocavallo di Ciminà” cui aderiscono tutti i produttori che, in sinergia tra loro, stanno attuando una serie di iniziative per la promozione di questo prodotto d’eccellenza.

Bruschetta golosa con la tecnica dell’impiccato

Braci in fiamme, lame luccicanti, formaggio “piangente”: il caciocavallo impiccato è uno degli street food più suggestivi. Guardarlo piange e cola sulle fette di pane casereccio è vero food porn. Ogni lacrima una pura delizia. D’estate tantissimi si raccolgono attorno a questo spettacolo. Lunghe code si formano attorno al barbecue per strappare la golosa bruschetta che nasce dall’unione di pane casereccio e caciocavallo fuso. La tecnica dell’impiccagione del caciocavallo è antichissima. In molti credono che siano stati i pastori a impiccare le prime forme durante la transumanza. Si pensa anche che questa tecnica sia stata scoperta per caso. Durante le soste notturne il caciocavallo veniva appeso ai rami degli alberi per tenerlo lontano dagli animali. Il calore del fuoco, arrivando alle croste, avrebbe dato l’idea ai pastori di far sciogliere il formaggio.

Come servirlo e conservarlo

Vanno usati coltelli a lama larga e spessa: ogni porzione dovrebbe avere una quantità uguale di crosta. Ideale se servito a temperatura ambiente. Il profumo, l’aroma e anche il sapore vengono attenuati dalla bassa temperatura. Conservarlo a +4°C. Tempo massimo di conservazione 12 mesi. Tantissimi gli abbinamenti, sta solo alla vostra fantasia.

Dalla scorza leggermente croccante quando è fresco, uniforme e quasi inesistente quando invece stagionato questo caciocavallo è un gioiello che colpisce i cinque sensi in modo limpido ed esponenziale.

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