Ospedale “Morelli”, a centinaia nella sala Cup con il rischio di ammalarsi

Riceviamo e pubblichiamo la lettera firmata di una nostra lettrice su quanto vissuto nella mattinata di ieri all’ospedale “Morelli” di Reggio Calabria.

Paziente in cura con immunosoppressori, mi reco all’Ospedale Morelli per una visita di controllo prenotata sei mesi prima.

E’ da un anno che sto attenta a tutto: sterilizzo la mia postazione di lavoro, tengo sempre l’FFP2, sto lontana almeno un metro dai non congiunti, questa estate sono stata solo due volte in pizzeria, poi mai più, passeggiate sempre lontano dalla folla, supermercato nelle ore dove non c’è nessuno.

Ho provato a proteggere la mia salute come quella dei miei parenti ultraottantenni, sacrificandomi non poco. Ma, se è per la salute di tutti, pazienza.

Poi però arrivo in ospedale e trovo nella grande sala del CUP ad occhio e croce 200 persone, forse più, accalcate in attesa di pagare il ticket.

Nello stanzone fa caldo, io con la mascherina respiro appena. Non c’è chiaramente ricircolo d’aria, pochissimi riescono a mantenere la distanza di un metro, calca è un eufemismo. Fuori nel corridoio si sta un po’ più distanti ma per pagare si deve comunque rientrare nello stanzone affollato.

In quell’unica stanza si pagano i ticket per tutto, visite specialistiche, esami, etc…. Non c’è un distinguo, passano tutti da lì.

Lo faccio presente alla guardia giurata che alza le spalle e dice di non poterci fare niente, ogni giorno è così.

A stento trattengo un attacco di panico, mi sento l’ansia stringere il collo… dopo mesi ad evitare assembramenti mi ritrovo nel bel mezzo di una bolgia, proprio in ospedale.

Non fosse importante me ne andrei e aspetterei tempi migliori.

Paziento tentando di trovare la calma che non ho, ripromettendomi di fare un tampone tra qualche giorno.

Dopo un’ulteriore questione allo sportello (perché i metodi evoluti di prescrizione/pagamento dovrebbero essere utilizzati nella struttura in questione?) salgo per la visita.

Stavolta è un gran corridoio, circa 3 metri per 20, con circa una cinquantina di persone che aspettano per due reparti diversi, c’è solo una finestra aperta, l’altra non funziona…

Distanziamento sociale, ovviamente, questo sconosciuto.

Chi deve fare una cura, chi un esame, chi una visita specialistica…a tutti hanno detto di presentarsi alle ore 8:30 e prendere il numeretto. A tutti lo stesso orario, fantastico metodo per accalcarsi meglio.

Poi scopro che chiamano per tipologia di prestazione….dirlo prima no, vero? Magari arrivavamo a scaglioni ed evitavamo di intasare sia il cup che il suddetto corridoio….perchè mai prevederlo?

Alla fine entriamo 4 alla volta e dentro il reparto si è ben distanziati, inutile dire che nessuno pensa di farti un tampone rapido all’arrivo (prassi ormai d’uso nelle cliniche private).

In ogni caso, se qualcuno stamattina giù nel sala cup o su nella sala d’attesa, era positivo, se qualcuno aveva  una qualche variante molto contagiosa, è molto probabile che pochi di noi l’abbiano evitata perché non c’era la necessaria distanza, non c’era aria e non c’era nessuna delle garanzie necessarie a preservare la salute di gente che, se si reca in ospedale, evidentemente non è per passatempo.

Se qualcuno stamattina era positivo, abbiamo seriamente rischiato di portare la malattia nelle nostre famiglie, nei nostri luoghi di lavoro, pur avendo mantenuto -all’interno del reparto- le distanze di sicurezza.

Orbene, non me la prendo con i medici, con il personale sanitario, con i vigilanti o gli amministrativi dell’ospedale.

Me la prendo con chi tutto questo lo gestisce e non pensa a soluzioni alternative: orari diversi per diverse prestazioni, punti esterni di accoglienza/pagamento, una programmazione più efficiente degli orari delle visite e degli esami… soluzioni possono essercene moltissime… ma non sono io pagato per pensarle, loro sì però.

Me la prendo con chi gestisce male e fa finta di non vedere, mettendo a rischio la vita di noi e dei nostri cari, probabilmente giustificandosi con la carenza di personale e/o di soldi e/o di strutture, quando si tratta solo di trovare soluzioni organizzative alternative, con il semplice utilizzo dei neuroni.

Eppure però dal mio stipendio lo stato trattiene automaticamente quasi un terzo dell’ammontare per garantire questi servizi, io pago le tasse con le aliquote più alte d’Italia anche per garantire questi servizi.

E poi?

E poi chiudono le scuole (dove i bambini sono sorvegliatissimi) per evitare affollamenti.

E poi fanno multe a chi va in giro la sera tardi e a chi festeggia con gli amici.

E poi tengono aperti pochi sportelli pubblici per garantire il personale.

E poi finisce che per un controllo in ospedale magari ti ammali perché non c’è nessuno che pensa, che organizza, che controlla.

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