L’assemblaggio che restituisce l’anima, nelle opere di Pino Caminiti
All’Ipogeo di piazza Italia inaugurata la personale dell’artista dal titolo “È stato il vento”
Pezzi che s’incontrano, forse si ritrovano, per come erano stati insieme in un’altra dimensione, pezzi che nell’assonanza materica ritrovano una loro nuova vita. Pezzi che riescono a parlare agli spettatori. L’Ipogeo di piazza Italia torna così ad animarsi con l’inaugurazione, ieri pomeriggio, della personale di Pino Caminiti “È stato il vento”. Presentata ieri pomeriggio alla pinacoteca con Enzo Infantino che ha portato i saluti di Chiara Sasso della fondazione “È stato il vento”, impegnata a far ripartire i progetti di Riace sull’accoglienza, con l’associazione “Inside” di Vincenzo Maria Romeo presenti i ragazzi dello Spraar di Bianco, l’assessore alla valorizzazione del patrimonio culturale Irene Calabrò e Daniela Neri per il Comune reggino, Elisabetta Marcianò, presidente dell’associazione culturale LiberArchè.
E dall’assemblaggio gli oggetti, prima bistrattati, abbandonati e scomposti, ritrovano un’anima. Così «Dal mare arrivano corde, rottami, tronchi: rinascono come arte. Ma dal mare arrivano anche esseri umani (alla ricerca della stessa possibilità: rinascere)». Come ricorda l’artista, dietro ad ogni mostra c’è una tematica, e, dietro i pezzi dell’Ipogeo c’è l’abbraccio dell’accoglienza.
«La mostra di stasera – afferma Caminiti – è dedicata al tema dell’accoglienza, dell’integrazione. Un tema che s’inserisce in un progetto che è partito tre anni fa quando ho iniziato la mia prima esperienza artistica trattando il caso di Saline. Da quando ho iniziato le esposizioni ho sempre cercato di legare le mie opere con un tema del territorio, e anche in questo caso, ho voluto dedicare questa all’ambiente; la prossima mostra sarà dedicata al tema della pace e della guerra, tema a cui sto già lavorando. Esperrò, l’ultimo giorno, l’opera copertina della prossima mostra, come una sorta di arrivederci al prossimo lavoro».
E la tecnica che Caminiti utilizza è quella del «puro assemblaggio – chiarisce – non lavoro i materiali trovati, contrariamente a molti, non li modifico, nella forma e nel colore; non uso parole, non uso correzioni, infatti, si possono individuare i singoli pezzi trovati, nella condizione in cui si vede, cerco di dare solo una forma e, quando ci riesco, anche un’anima. Anche il tipo di assemblea è leggero non uso saldare o interventi invasivi: uso colla, vite e ferro, anche quelli trovati».