mercoledì,Maggio 8 2024

Reggio “sospesa”, il reportage di Repubblica condanna la città che “si adegua”

L’analisi impietosa scava nell’anima di una città tradita più volte, ma sempre più rassegnata

Reggio “sospesa”, il reportage di Repubblica condanna la città che “si adegua”

«La chiamano “la calmeria di Scirocco”. Sullo Stretto dove il vento non ha pace e le correnti hanno ispirato mostri omerici, in quei momenti tutto si ferma. È immobile l’aria, densa come melassa. È un lago il mare, tavola liscia senza neanche un’increspatura. L’orizzonte diventa lattiginoso, le sponde quasi spariscono nel riverbero. Non si respira, qualsiasi movimento sembra costare fatica e allora tutto rimane fermo. A Reggio Calabria il vento continua a cambiare, ma da mesi la città vive sprofondata in una calmeria di Scirocco che sembra non avere fine, mentre uno dopo l’altro se ne sbriciolano i pilastri».

È questo l’incipit di un lungo reportage pubblicato su Repubblica a firma di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), e della collega reggina Alessia Candito. Un affresco della città dolente che di questi tempi è anche una “città sospesa”.

Non a caso nell’articolo sono elencate la sospensione del sindaco Giuseppe Falcomatà «eletto a dispetto di un processo in corso e finito in panchina insieme a metà della sua prima Giunta per effetto della legge Severino»; il destino sospeso dell’Università Mediterranea, oggi in attesa delle elezioni del nuovo rettore, dopo essere stata travolta dallo scandalo giudiziario dei mesi scorsi; ma sospesa è anche l’Asp di Reggio, commissariata per ‘ndrangheta e con un buco da 500 milioni sul groppone.

Nel calderone ci finisce anche la Reggina, la cui sospensione, dopo l’arresto del patron Luca Gallo, è terminata con l’arrivo della nuova proprietà in capo al lametino Felice Saladini.ù

«Cronicamente sospeso» è il destino dell’aeroporto di Reggio Calabria, il cui rilancio è da tempo immemore promessa bipartisan di ogni aspirante rappresentante eletto, inevitabilmente destinata ad accartocciarsi sui limiti strutturali dello scalo. E, restando in tema di trasporti, la parabola giunge fino alla società Carontge&Tourist, visto che compagnia di navigazione che si occupa in regime di monopolio del passaggio tra le sponde calabresi e siciliane dello Stretto, è in amministrazione giudiziaria.

«Non tutto è ‘Ndragheta a Reggio Calabria, ma molto lo è – si legge nel corpo dell’articolo -. L’indotto mafioso – felice definizione del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo per indicare quel tessuto connettivo che non è fatto di clan, ma di gente che li tollera, ne introietta le logiche, finisce per rassegnarsi alle regole – innerva buona parte del tessuto sociale, imprenditoriale, culturale della città».

I riferimenti all’inchiesta Gotha non sono un caso.

“Giustizia mutilata”

«Ma nella capitale riconosciuta della ‘Ndrangheta, sospesa è oggi anche la Procura antimafia. Giovanni Bombardieri, che da capo la guida dal 2018, dovrà sottoporsi nuovamente all’esame del Csm. Così ha deciso il Consiglio di Stato, che con il fuso orario di quattro anni ha accolto il ricorso dell’ex procuratore capo di Lucera, Domenico Angelo Raffaele Seccia».

A farlo però, sottolineano gli autori dell’articolo, sarà il prossimo Consiglio superiore della magistratura: «adesso non c’è più tempo, le elezioni sono alle porte. E i mesi rimasti probabilmente non basteranno neanche ad assegnare i due su tre posti da aggiunto rimasti vacanti nell’ultimo anno».

La descrizione degli uffici giudiziari del Cedir, che avrebbe dovuto rappresentare una sistemazione provvisoria, e le lungaggini del costruendo Palazzo di Giustizia, fotografano al meglio la città in cui niente è come sembra: «Perché nella capitale della ‘Ndrangheta manca tutto. Gli spazi, le aule, il personale amministrativo, i pm, i giudici».

Il “Laboratorio dell’eversione”

Nel reportage di Repubblica, largo spazio è dedicato anche alle trame della ‘ndrangheta, con il quartiere di Arghillà a rappresentare l’emblema del malaffare e del come si costruisce un ghetto. Si citano gli anni da sindaco di Giuseppe Scopelliti e il conseguente scioglimento del Comune, ma anche la regia di Paolo Romeo, «da almeno cinquant’anni – raccontano i pentiti, le inchieste, le sentenze – è il baricentro politico, economico, sociale della città, di fronte a cui tanta intellighenzia bipartisan ha continuato a scappellarsi a dispetto di una condanna definitiva per concorso esterno rimediata negli anni Novanta come eminenza grigia del clan De Stefano».

Spiragli di luce

Scorrendo l’articolo ci si imbatte anche in una parentesi felice, si fa per dire, con sullo sfondo però i problemi cronici di Arghillà nord, dove non c’è una scuola, una palestra o una biblioteca, ma neanche un parchetto. La luce però è offerta dall’Ace che negli anni è diventato centro di ricerca epidemiologica, realtà che ha permesso a giovani medici, infermieri, amministrativi di non andare via alla ricerca di lavoro, fucina di una nuova concezione della salute. Che va oltre la soluzione della patologia specifica. E che è riuscito dopo tante pressioni a farsi concedere dal Comune gli spazi necessari per aprire un ambulatorio anche ad Arghillà. Una storia difficile che si intreccia con i paradossi della sanità calabrese

La Repubblica del favore

Infine, il modello di intervento della ‘ndrangheta, la cementificazione del consenso per affermare il dominio delle varie consorterie mafiose con una strategia che cambia a seconda dell’interlocutore: «Un lavoro lecito, magari nel pubblico o para-pubblico, una piccola attività, una fornitura, sono armi buone per fidelizzare interi gruppi familiari. Consulenze e nomine, la leva per entrare dalla porta principale nel mondo dei professionisti. I pacchetti di voti, lo strumento per irretire i politici di ogni livello».

Una sorta di calmeria, tenuta a bada da tutta una sequenza di cose messe lì, al posto giusto nel momento giusto, di fronte ad una città che tollera, si adegua, e si rassegna.

«Leggenda vuole che lo Scirocco sia un vento pericoloso, che fa impazzire alcuni, che provoca ribellioni. Ma a Reggio Calabria – conclude il reportage – c’è ancora chi aspetta che soffi impetuoso. Che spazzi via la calmeria».

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