Cinquefrondi, la “Marcia della pace” come antidoto ai populismi e all’immobilismo – FOTOGALLERY

Centinaia di persone hanno partecipato questo pomeriggio alla Marcia nazionale della pace, organizzata dal Comune di Cinquefrondi, di concerto con Recosol (Rete delle comunità solidali) e la società cooperativa Sankara. Nonostante il sole cocente, il corteo – che ha visto anche una nutrita rappresentanza di sindaci della Piana e della Città metropolitana – ha sfilato per le vie della cittadina, sventolando le bandiere arcobaleno della pace, per dire no alla guerra e alle migrazioni forzate. Non a caso la Marcia si è svolta proprio oggi, quando in tutto il mondo si celebra la Giornata del rifugiato.

Il corteo, con in testa il sindaco Michele Conia, partito dal parco Peppino Impastato si è arrestato su piazza della Repubblica, dove dal palco che ha ospitato in serata il concerto di Eugenio Bennato, si sono succeduti gli attori principali della manifestazione, in primis il capo politico di Unione popolare Luigi De Magistris e il giornalista Michele Santoro, di fatto gli unici personaggi noti che hanno preso parte alla Marcia, tra quelli annunciati in questi giorni.

Don Pino De Masi: «Muoverci e non commuoverci»

Presente anche don Pino De Masi, referente di Libera, che salito sul palco ha spronato la gente a muoversi, anziché commuoversi, di fronte alle popolazioni che scappano dalla guerra, «ecco perché la marcia è stata un bel simbolo. Muoverci nella corresponsabilità e purtroppo i Governi non si muovono, se non in un senso, quello di salvare gli opulenti e non i popoli della fame. Dobbiamo lavorare affinché il divario tra nord e sud non aumenti, ma diminuisca sempre di più».

De Magistris: «Il sud può svolgere un ruolo fondamentale»

Facendo un chiaro riferimento alla guerra in Ucraina, De Magistris ha sostenuto di trovare «molto importante che i popoli si mobilitino sempre di più per la pace. Purtroppo, i governi occidentali, hanno scelto armi, munizioni e guerra, con un rischio sempre più concreto di un’escalation militare che può portare alla guerra nucleare e alla terza guerra mondiale. In tutto ciò, il sud può svolgere un lavoro importante, perché nel sud c’è umanità, c’è solidarietà, c’è voglia di costruire un mondo più solidale. Oggi è la Giornata del rifugiato e, secondo me, è stata una bella giornata che fa bene al sud, alla democrazia e ci auguriamo alla pace. Unire questa Giornata alla Marcia della pace significa dire che noi siamo non violenti, pacifisti e vogliamo la giustizia sociale, economica e ambientale. Visto che i governi non cambieranno mai nulla, c’è bisogno di un’insurrezione popolare non violenta, culturale e pacifica e costituzionalmente orientata. O si sdegnano i popoli, oppure l’abisso sarà sempre più vicino.

Peppino Lavorato: «Nella Piana tornino i sentimenti di 60 anni fa»

Sul palco è salito anche Peppino Lavorato, sindaco di Rosarno dal 1994 al 2003, e storico esponente del Partito comunista italiano, nonché deputato della Repubblica dal 1987 al 1992. «Mi tocca ricordare che la Piana – ha affermato – già 60 anni fa, manifestava per la pace, per la libertà e l’integrità territoriale dei popoli. Già 60 anni fa la marcia tra gli ulivi. Presidente del Comitato internazionale per la pace nel mondo era Emilio Argiroffi, senatore della Repubblica, e a dirigere il partito nel quale militavo c’era un vostro concittadino, Pippo Tropeano. Dobbiamo ritornare a risolvere i problemi della povera gente se vogliamo liberare il nostro paese da governi che ci ricordano tempi ai quali non si deve ritornare più. Questa deve essere ancora la Piana con quei sentimenti di 60 anni fa».

Santoro: «Diffido la Meloni dal venire al mio funerale»

La parola è poi passata al giornalista Michele Santoro, che ha esordito dicendo di non aver fatto la marcia, «però ho fatto un lungo viaggio e non è un caso che sia venuto fin qui, in quanto sono dell’idea che dovunque sventoli in questo momento la bandiera della pace noi dobbiamo essere presenti, perché è un momento molto complicato». Focalizzando il suo intervento sulla guerra in Ucraina, ha sostenuto che si sta mettendo a repentaglio «l’esistenza dell’intera umanità, dell’ambiente e della natura per come noi la conosciamo. La guerra in Ucraina è sicuramente frutto di una brutale aggressione da parte di Putin, però, come sarebbero andate le cose se anche dall’altra parte, questa guerra non fosse stata desiderata? – si è chiesto Santoro -. Quando sono entrati i carri armati in Ucraina, hanno trovato i missili Stinger che li hanno fermati e quelli non erano lì per caso. A noi hanno raccontato la favoletta che Zelensky era pronto a scappare ma in realtà era pronto a colpire».

Santoro ha continuato dicendo che «se questa guerra si fosse sviluppata tra i due nazionalismi, avrebbe sicuramente avuto esiti diversi dalla distruzione totale del Paese. Invece, è diventata una guerra della Nato contro Putin. Si è trasformato uno scontro che era tra due nazionalismi, in uno scontro tra occidente e Putin. Si è approfittato della debolezza di Putin per spostare le armi sempre più verso i veri obiettivi, che sono la Cina e la Corea. Nel momento in cui il capitalismo perde la sfida perché i cinesi ci battono sul terreno della concorrenza, si è sentito il bisogno di creare una cortina tra noi e la Russia, quando invece la Russia è Europa. Le risorse della Russia dovevano essere dell’Europa perché l’Europa con le risorse della Russia avrebbe sfidato e superato sia gli americani che i cinesi, invece, da questa guerra l’Europa è stata messa in ginocchio, nella condizione di non avere più parola se non quella di approvare il comportamento di una potenza straniera, cioè gli americani, che sono venuti in Europa a importare e esportare i loro interessi geopolitici. Questa è la ragione di questa guerra».

Santoro, dopo un excursus sull’inflazione e le cause della stessa, ha sostenuto che «siamo prigionieri di una gabbia che ci hanno costruito addosso, di un’Europa che non può usare la moneta come farebbe un qualunque Stato, ma ha una rigidità che ci costringe dentro questo debito. I poveri greci li potevamo salvare invece sono stati umiliati. Il mercato a noi non ci pensa, perché durante la pandemia abbiamo avuto il 5% degli italiani che si sono arricchiti, e il 95% degli italiani che invece si sono impoveriti e ora con la guerra succederà la stessa cosa. I giovani vanno via, 10.000 medici italiani formati lavorano in Europa e a noi mancano i medici negli ospedali e ci dicono che tutto va bene. Poi accendo il telegiornale e devo vedere tutti questi funerali con la Meloni che piange. Lo dico pubblicamente – ha concluso Santoro – siccome anche il mio si avvicina, diffido la Meloni dal venire al mio funerale. Tutto quello che ci sta succedendo è perché noi non siamo più una forza, dobbiamo ricostituire una forza e per farlo bisogna che tutti quelli che sono affezionati alle loro bandiere, non è che le devono ammainare, ma le devono tenere un po’ a casa e in piazza ci dobbiamo portare solo la bandiera arcobaleno e tutti quelli che credono nella pace».

Conia: «L’emozione di chi ci crede»

A chiudere la manifestazione è stato il sindaco Conia, che visibilmente commosso, ha detto che è «l’emozione di chi ci ha creduto», perchè non immaginava che «nella Piana di Gioia Tauro potesse accadere ciò che oggi è accaduto. Per fare una cosa del genere bisogna essere un noi collettivo e oggi Cinquefrondi lo è stato. E quando lo si è nulla è impossibile. Abbiamo sfidato anche il sole, faceva un caldo impressionante, ma abbiamo resistito.  È arrivata gente da ogni dove, anche da altre regioni. Noi la marcia la facciamo tutti gli anni, ma una mattina ci trovavamo sulla spiaggia di Steccato di Cutro e di fronte a quella tragedia e a quelle vite spezzate solo perché cercavano una speranza ci siamo guardati negli occhi e ci siamo ripromessi che quest’anno la marcia della pace deve avere un altro significato.

Quest’anno deve dire “basta a chi muore in mare” – lasciandosi andare alla commozione -. Lo dico perché quelle scarpette, quei pupazzi sulla spiaggia non li dimenticherò mai. Così come mentre in Italia eravamo tutti impegnati a piangere un morto (riferendosi al funerale di Silvio Berlusconi, ndr) a pochi chilometri da noi, 600 persone perdevano la vita in mare senza che nessuno dicesse nulla. Questa piazza, le strade di oggi, questo vogliono dire: la pace come antidoto alle migrazioni forzate. Non credete ai populismi o a chi dice chiudiamo i porti. C’è un solo metodo ed è quello della pace. Dobbiamo fare in modo che ognuno possa vivere serenamente nella propria terra, perché se una mamma preferisce mettere il proprio figlio su un barcone, vuol dire che il rischio che ha di farlo vivere nella propria casa, è ancora superiore, e allora diciamo basta a tutti i conflitti in ogni parte del mondo».

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