DE GUSTIBUS | C’erano una volta le Costardelle: “mito” dello Stretto

Chi ha qualche anno in più ricorda senz’altro i banchetti improvvisati dei pescatori che si mettevano in ogni dove e al grido di “custardeddi” attiravano una moltitudine di persone, soprattutto donne, in cerca del pesce più fresco. Tipiche di tutto lo Stretto le costardelle rappresentano fin dall’antichità il pesce “dei poveri” che regnava incontrastato sulle tavole per tutto il periodo estivo, invadendo case e interi quartieri con l’odore di fritto, accompagnato da insalate di pomodoro e cipolla. Oggi i banchetti sono pressochè scomparsi e anche la pesca della costardella ha subito un notevole rallentamento nelle acque dello Stretto, cui si sostituisce quella arrivata dalla Spagna, ma i riti legati a questo pesce ne fanno un mito intramontabile.

La costardella “sorella minore” del pescespada

Il nome scientifico è Scomberesox saurus, un pesce azzurro di piccola taglia che ha sempre abbondato nelle acque dello Stretto. Assomiglia all’aguglia ma se ne distingue in quanto meno allungata, con rostro più corto e denti sottili. Anche le carni sono diverse e molto più pregiate. Si tratta di un pesce pelagico che si avvicina alla costa solo nel periodo di riproduzione. Comunissima e abbondante nello stretto di Messina fino a poco tempo fa, per i reggini la costardella ha sempre rappresentato una sorta di “sorella minore” del pescespada.

Il rito della pesca

Fin dall’antichità, la pesca delle costardelle ha costituito un vero e proprio rituale che iniziava all’alba e continuava fino al tramonto essenzialmente d’estate, in cui se ne trovavano grandi quantità. «Il periodo di pesca era ristretto tra il tardo aprile e la fine di settembre e l’area di concentrazione era tra Capo Spartivento/Brancaleone fino allo Stretto di Messina» ci spiegano i pescatori del borgo marinaro di Melito. Riguardava  «prevalentemente tutta la costa che si affacciava sullo Ionio calabrese e quella che si affacciava sullo Ionio siciliano, fino a Catania».

Per la pesca della costardella si usano delle apposite reti da circuizione e viene seguito un determinato “iter”: una sentinella sulla barca vedetta, fatto l’avvistamento, segnala alle altre barche, individuando la testa del branco, cosicchè insieme “calano la rete” facendo in modo che la rotta dei pesci venga chiusa all’interno della stessa. Poi, una volta issata la rete, la raccolta avviene in un’apposita cassetta di plastica, per procedere quindi ad una nuova immersione al prossimo avvistamento, e così fino al tramonto.

Oggi tuttavia, c’è una carenza di pescato. «Non si pescano più le costardelle nella nostra area – ci spiega Nino Praticò, conosciuto come ‘U Mangiuni tra i pescatori del borgo–molto probabilmente a causa del cambiamento climatico. Prima c’era una grande quantitativo, basti pensare che a Melito c’era un’imbarcazione che giornalmente prendeva dalle 100 alle 200 cassette; il pescato quindi abbondava». Di tanto in tanto si vede qualche bancarella, ma soltanto «quando c’è un quantitativo di pescato eccessivo che, però, oggi giorno proviene dalla Spagna o dalla Tunisia, non è pescato nostrano».

Costardelle impanate e fritte: l’antica ricetta reggina

Quando la pesca abbondava, nelle sere agostane soprattutto, l’odore della frittura di pesce invadeva tutti i quartieri, con le donne in casa che pronte per l’arrivo delle costardelle improntavano le padelle e il fuoco per friggerle. Tra le tante ricette infatti (in umido, con la cipolla, a involtini, ecc.) quella regina è sicuramente la costardella impanata e fritta. Semplice e veloce, ma per tutti i palati. Basta soltanto avere le costardelle fresche, pulirle, impanarle con la farina e il sale, e friggerle in abbondante olio per poi gustarle calde con una spruzzata di limone.

Come in una sorta di rito, le costardelle giungevano a tavola e venivano addentate ancora bollenti e direttamente con le mani, come un moderno finger food, accompagnate da un’insalata di pomodori e cipolla e da un sorso di vino. Anche queste cene, restano indelebili nella memoria della tradizione e nei ricordi di chi li ha vissuti.

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