29 agosto in Aspromonte: nel 1847 il primo tricolore del Sud e nel 1862 il ferimento di Garibaldi – VIDEO e FOTO

«I nostri avi capitanati dai fratelli Romeo avevano portato nel comune natio di Santo Stefano in Aspromonte, il Tricolore. Era stato appena donato da Giuseppe Mazzini. In questo clima in cui già si anelava all’Unità, il 29 agosto 1847, dopo la benedizione del sacerdote, esso fu sventolato nella piazza dove oggi sorge un monumento raffigurante proprio la bandiera. Fu la prima volta nel Sud, come ha ricostruito lo storico Elio D’Agostino.

Riscontrando ed evidenziando questo primato, D’Agostino ha arricchito ulteriormente la memoria che lega la nostra comunità alla storia risorgimentale. Per questo adesso noi commemoriamo questo anniversario fortemente identitario». Commenta così Francesco Malara, sindaco di Santo Stefano in Aspromonte, il fermento che attraversa la sua comunità in questa giornata.

Il desiderio di Unità

Sventolò, dunque, nel cuore dell’Aspromonte il primo Tricolore della storia del Sud di una Italia che aspirava a diventare un unico Stato. Il comune di Santo Stefano in Aspromonte nel reggino, da 18 anni ricorda questo evento storico di epoca risorgimentale. Una memoria che gli vale la denominazione di Città della Bandiera e che riconosce anche nell’Aspromonte il cuore pulsante di un popolo che aspirava all’Unità nazionale.

Quello storico sventolamento, avvenuto nella piazza oggi intitolata al patriota Domenico Romeo, anticipò solo di qualche giorno la rivolta che a Reggio Calabria ebbe luogo contro i Borbone il 2 settembre del 1847. La ricorda monumento all’Italia dello scultore villese Rocco Larussa, allocata nell’omonima piazza.

«Pochi sanno che la grande fiammata rivoluzionaria del 1848 che investì l’Italia e l’Europa, e dalla quale ebbe inizio il nostro Risorgimento nazionale, fu accesa proprio a Reggio il 2 settembre 1847». Lo ha scritto lo storico reggino Lucio Villari.

Da Santo Stefano in Aspromonte a Napoli

Una sollevazione di popolo che fu, a sua volta, preludio dei moti rivoluzionari del 1848. Ma c’è anche un’altra storia che lega il cognome dei Romeo di Santo Stefano in Aspromonte al Tricolore. Si tratta di quella della sventolatrice sul palazzo reale di Napoli nel novembre del 1860. Fu la giovane Elisabetta, nella città partenopea al seguito del padre Giannandrea Romeo, fratello di Domenico. La prima donna a sventolare il Tricolore. Di lei non si conosce il volto ma il desiderio di condividere e non dimenticare supera con l’arte questo limite. La storia di Elisabetta ha ispirato uno dei tre murales, tra i tanti presidi di memoria risorgimentale presenti a Santo Stefano in Aspromonte.

Tali murales sono stati realizzati nel parco giochi, denominato proprio il nido degli aquilotti. Qui sono stati ricavati tre spazi affrescati con sfondi colorati che richiamano il Tricolore.

I murales della memoria

«Sul murales a sfondo verde il ritratto del patriota Stefano Romeo, cugino di Domenico e Giannandrea, sul quello a sfondo bianco una figura femminile rapita dall’aquilotto che la sovrasta e sul quello a sfondo rosso il volto di una giovane donna alla quale si guarda pensando che sia Elisabetta Romeo», spiega ancora il sindaco, Francesco Malara. 

«Siamo fieri e orgogliosi anche del contributo della nostra comunità al Risorgimento. Da qui l’omaggio con queste e altre opere murarie. Alimentiamo la memoria e l’appartenenza alla comunità attraverso significativi elementi di decoro urbano.

Per altro il nome del parco “Nido degli aquilotti” richiama proprio lo spirito dei tanti che come aquilotti volarono giù dalla montagna per andare a combattere per la Libertà. Quei moti furono una battaglia di popolo. Tutta la popolazione di Santo Stefano, dalla Vallata del Gallico passando per Laganadi e Sant’Alessio, si riversò a Reggio Calabria», ricorda con orgoglio il sindaco Francesco Malara.

I patrioti della famiglia Romeo

Sulla lapide apposta in Comune si legge: «Nel 1847 da questi monti mossero aquilotti dal loro nido anelanti a libertà, con un manipolo di audaci, Domenico, Giannandrea, Pietro, Stefano, Gabriele Romeo, cospiratori, agitatori, martiri, precorrendo i destini della Patria.

La fiera testa di Domenico Romeo mozza dal carnefice borbonico ondeggiò sulla picca, obbrobrio e spavento del tiranno, ammonimento dei pavidi, scintilla del riscatto che divampò per la fatale penisola, rendendola una e libera.

In Reggio cadde primo martire della libertà, Domenico Morabito, altro figlio di questa terra».


La giornata dell’Aspromonte

Ma il 29 agosto nel reggino fu importante anche per un altro avvenimento di epoca risorgimentale avvenuto nel 1862. Esso passò alla storia come la Giornata dell’Aspromonte. Giuseppe Garibaldi, nel suo passaggio in Calabria verso Roma, ebbe uno scontro inatteso con l’esercito regio. Ciò accadde dopo l’arrivo dalla Sicilia e l’approdo sulla costa reggina, il 25 agosto tra Melito e Capo d’Armi, in località Sant’Elia di Montebello Ionico, nel reggino.


A capo di duemila camice rosse, fu fermato da 3500 bersaglieri dell’esercito regio, guidati dal colonnello Pallavicini. Fu scontro tra l’esercito regolare italiano e i volontari garibaldini impegnati a completare una marcia dalla Sicilia fino a Roma. Durante quella battaglia avvenne lo storico ferimento alla gamba e al piede di Garibaldi.

Dopo la spedizione dei Mille e l’unificazione dell’Italia, Garibaldi organizzò, dunque, una nuova spedizione. Questa volta per il completamento del processo di unificazione da un punto di vista anche sociale. Un’operazione che avrebbe posto anche Roma sotto l’egida del primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II. Ostacolo a questo disegno era il potere temporale esercitato dal Papa.

Il completamento dell’Unificazione dell’Italia

«Era in corso una fase molto delicata in cui, morto Camillo Benso conte di Cavour, la presidenza del Consiglio dei Ministri del governo era passata a Urbano Rattazzi, sostenitore del movimento democratico di cui Garibaldi era importante espressione. Un contesto favorevole per una nuova iniziativa di Garibaldi finalizzata a completare l’unificazione d’Italia, pienamente rispondente agli ideali di libertà che il Risorgimento aveva alimentato.

In questo contesto politico  – spiega lo storico Lucio Villari re Vittorio Emanuele II, che aveva sposato il progetto di unificazione dell’unità d’Italia al quale Cavour avrebbe preferito una confederazione di Stati, mirava a riabilitare il ruolo della monarchia all’interno della neonata Italia. Un intento da perseguire facendo decadere il potere temporale esercitato dal Papa, liberando Roma dalla Chiesa e consegnandola all’Italia unita.

La seconda spedizione di Garibaldi nel 1862

Da qui – prosegue lo storico Lucio Villari – la nuova spedizione organizzata con il sostegno del Re e che, dopo lo sbarco a Palermo con la famosa frase “O Roma o Morte” e fino all’approdo in Calabria, ebbe certamente successo con acclamazioni di popolo, esattamente come due anni prima. Fu quello che accadde nel frattempo a cambiare la storia e a ribaltare l’esito della spedizione.

Le forze liberali di tradizione cavouriana intravidero in questa nuova operazione la minaccia di un’unificazione sociale, politica ed economica dell’Italia che avrebbe superato le ingiustizie sociali, le ricchezze e i latifondi, innescando una vera e propria rivoluzione culturale.  Ciò preoccupava molto il governo di Torino.

La Francia, inoltre, aveva dichiarato pubblicamente che non avrebbe consentito la riuscita della spedizione, intervenendo anche militarmente per difendere Roma dalla presa dei Garibaldini.

Il contrordine del Re

Ecco cosa generò il contrordine del Re e quindi il fuoco aperto in Aspromonte dall’esercito Regio inviato a fermare Garibaldi e i suoi volontari. Mentre Reggio nel 1860 aveva costituito il primo avamposto continentale liberato dai Borbone, nel 1862 l’Aspromonte aveva segnato un punto drammatico della storia dell’Italia. Quello fu uno scontro molto violento in cui vi furono settanta vittime e un centinaio di feriti.

Una battaglia che Garibaldi non si aspettava e che non avrebbe voluto. Il colonnello Pallavicini, nella ricostruzione del romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, alla celebre festa al principe di Salina riferisce che Garibaldi fu grato dell’intervento dell’esercito regio poiché lui stesso non voleva che la sua spedizione innescasse una rivoluzione sociale. Ricostruzione che io non credo sia corrispondente alla verità. Garibaldi fu colto di sorpresa, ferito e arrestato. Una pagina controversa della nostra storia che merita di essere conosciuta», conclude lo storico reggino Lucio Villari.

Dunque la seconda spedizione dei Mille non ebbe compimento. Dopo il ferimento e l’arresto, Garibaldi si imbarcò a Paola sulla nave Duca di Genova diretta a La Spezia dove arrivò il 2 settembre successivo. Un cippo in corrispondenza di quell’albero sotto cui rimase ferito e una lapide nella città ligure in memoria del suo arrivo dopo la battaglia dell’Aspromonte, ricordano in due punti diversi dello stivale quella giornata. Nella città spezzina il generale fu destinato al Varignano, un ex-lazzaretto convertito in stabilimento penitenziario.

Lo sbarco a Melito Porto Salvo nel 1860


La storia di Garibaldi in Aspromonte consta di altre pagine scritte due anni prima per unire l’Italia. Da Palermo fino a Reggio Calabria passando per Milazzo, Catania, Agrigento, Licata, Messina, Melito Porto Salvo, Villa San Giovanni e Nicotera. Così tra giugno, luglio e agosto del 1860 Giuseppe Garibaldi dalla Sicilia sbarcò in Calabria con i suoi storici Mille, che nel corso della spedizione arrivarono a sfiorare i trentamila uomini.

La spedizione dei Mille e l’intervento dell’Esercito meridionale garibaldino nel Regno delle Due Sicilie iniziò, con lo sbarco a Melito Porto Salvo nel reggino, nelle notte tra il 18 e il 19 agosto 1860. Raggiunsero la Calabria, partiti dalla Sicilia, due piroscafi e due contingenti guidati da Giuseppe Garibaldi e da Nino Bixio. Garibaldi, dopo il soggiorno a palazzo Ramirez, oggi noto come Casina dei Mille a Melito, la sera del 20 agosto 1860 iniziò la marcia su Reggio.  

La battaglia di piazza Duomo a Reggio

L’attacco dalle colline orientali ebbe luogo alle prime luci del 21 agosto 1860, mentre la divisione Cosenz sbarcava tra Scilla e Favazzina. Fu quello il giorno della storica battaglia di Piazza Duomo che vide contrapposti i garibaldini e l’esercito delle Due Sicilie, concludendosi con la sconfitta delle forze borboniche.

Il monumento a piazza Castello


A memoria della giornata una stele giace in piazza Castello a Reggio Calabria. Ivi si legge: «Su questo munito e forte Castello, primo baluardo continentale del regno delle Due Sicilie, Giuseppe Garibaldi, i patrioti di Reggio e tremila camicie rosse dopo una battaglia cruenta e decisiva, issarono il Tricolore dei Mille nel nome della libertà e dell’unità d’Italia e di tutti gli Italiani». L’epitaffio è stato scritto dallo storico Lucio Villari.

Superate le resistenze borboniche, i garibaldini risalirono il Mezzogiorno sino alla presa di Napoli (dove Elisabetta Romeo di Santo Stefano in Aspromonte sventolò il Tricolore) e alla definitiva vittoria  contro l’esercito di Francesco II di Borbone, avvenuta con la battaglia sul fiume Volturno tra l’1 e il 2 ottobre del 1860. Lì si concluse la spedizione dei mille iniziata il 5 maggio dello stesso anno con la partenza da Quarto delle camice rosse.



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