domenica,Aprile 28 2024

Reggio, Centro antiviolenza Margherita: da oltre vent’anni al fianco delle donne

Fondato 23 anni fa dal prossimo mese aprirà anche a Frascati. Ne parliamo con la presidente, la psicologa Tiziana Iaria

Reggio, Centro antiviolenza Margherita: da oltre vent’anni al fianco delle donne

Sul territorio da 23 anni ed entro la fine di ottobre aprirà anche a Roma, a Frascati, per dare supporto e aiuto alle vittime di violenza, perché non siano lasciate da sole, prima e dopo la denuncia. Il Centro antiviolenza Margherita, infatti, non solo fornisce loro un posto in cui stare, persino oltre i termini previsti, ma le ascolta, fornisce supporto psicologico, le assiste per quanto possibile nel trovare un lavoro, le accompagna fino al processo e anche oltre. E nonostante le difficoltà, senza aiuti da parte dello Stato, il centro fa il possibile per aiutare le donne ad uscire dal giogo della violenza, a rifarsi una vita. Ne parliamo con la psicologa Tiziana Iaria, presidente del centro antiviolenza Margherita.

Dottoressa Iaria, di cosa si occupa il centro?

«Il centro è attivo da 23 anni sul reggino e presto anche a Frascati. Forniamo prima di tutto supporto emotivo, psicologico e legale alle donne vittime di violenza. Ricevuta la segnalazione, prendiamo la vittima in carico, ci occupiamo della denuncia attraverso il nostro avvocato, iniziamo un percorso psicologico, anche insieme ai figli, e le troviamo una destinazione protetta negli alloggi del centro. Ma non solo. Abbiamo anche il banco alimentare, grazie al quale distribuiamo mensilmente qualcosa come 20 quintali di alimenti a circa 1.500 famiglie sul territorio. E soprattutto abbiamo Caf e patronato, con cui cerchiamo di aiutare le donne vittime di violenza a reinserirsi nella società, fornendo formazione e attestati che possono spendere a livello nazionale, offrendo noi stessi contratti di lavoro per quanto possibile».

Quante segnalazioni riceve il centro?

«Le segnalazioni arrivano sia dalle forze dell’ordine, Questura, Carabinieri, ma anche direttamente dalle vittime che ci contattano tramite il Centro Ascolto che è attivo 24 ore su 24. A volte passano direttamente dalla sede oppure ci telefonano e noi le facciamo venire e iniziamo il percorso che, se la vittima è convinta, porta alla denuncia. Se ci chiamano in emergenza contattiamo subito le forze dell’ordine affinché intervengano.

Quest’anno abbiamo ricevuto 95 segnalazioni, da parte sia di donne italiane che da molte straniere. Di queste 73 vittime sono state portate alla denuncia, le altre si sono tirate indietro. La maggior parte denunciano violenze fisiche, qualcuno anche sessuale, e spesso insieme alla violenza fisica, alle botte, anche la violenza psicologica, che però da sola è difficilissima da dimostrare».

Si riesce sempre a trovare una sistemazione alle vittime?

«Facciamo il possibile, noi abbiamo 15 posti letto. Il problema è che ospitiamo la vittima e i figli, che prendiamo fino ai 18 anni, a differenza di altri centri che li accettano fino ai 14. La maggior parte delle vittime sono madri, infatti, e ciò significa che in una stanza dove ho due posti letto avrò tre, quattro persone, ma una sola vittima di violenza. Non solo.
Il centro antiviolenza è preposto a tenere la vittima fino al compimento dell’iter previsto, alle prime fasi del processo, in sostanza, un mese o due non di più. Ma spesso, per via delle lungaggini processuali o del fatto che queste persone non hanno dove andare, i tempi si allungano. Capisce bene le difficoltà che ci troviamo ad affrontare e quando non abbiamo posti letto dobbiamo chiedere aiuto alle altre associazioni, e se non ci sono posti a Reggio, anche fuori città».

Quanto è difficile per le vittime di violenza ricominciare?

«Chi denuncia spesso si preclude una vita, la società è cattiva, non ti perdona. La donna che denuncia viene considerata poco attendibile, viene allontanata, molte volte è mal vista anche dalla stessa famiglia, soprattutto nei piccoli centri, dove c’è ancora la cultura che i panni sporchi si lavano in famiglia. Purtroppo vengono maltrattate due volte, dall’autore della violenza prima e dalla società poi.
C’è una questione educativa culturale da risolvere e così spesso noi ci attiviamo per aiutarle a trovare un lavoro. Non diciamo mai che si tratta di una donna vittima di violenza, anche perché siamo tenuti a tutelarle per ragioni di privacy. E nel frattempo, cerchiamo di tenerle nel nostro centro, dove ci sono persone che sono qui da più di 6 mesi, ma non possiamo certo buttarle per strada con i figli!».

E lo Stato che aiuti dà?

«Lo Stato prevede una forma di sostegno economico per le donne vittime di violenza, sono poco più di 450 euro ma soltanto per un anno. Con il Caf siamo riusciti a fare avere a tante vittime anche il reddito di cittadinanza, che ha salvato diverse di queste donne, riuscendo anche a far trovare un monolocale dove poter vivere e ricominciare.
Ma ora non ci sarà più neanche questo. E il nuovo strumento di formazione e lavoro, non sarà certo d’aiuto. Anche perché molte di queste donne ha già un diploma o addirittura una laurea, non servono corsi, ma un lavoro vero e proprio. Altrimenti non potranno mai avere una propria autonomia, il diritto di rifarsi una vita».

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