Beni confiscati, 25 anni fa la legge sull’uso sociale. In Calabria oltre 3000 unità da destinare

Sono trascorsi 25 anni dalla legge che nel 1996, sulla scia dell’intuizione della legge Rognoni La Torre del 1982 che aveva introdotto le misure di prevenzione di carattere patrimoniale per beni illecitamente accumulati, associava a questi provvedimenti restrittivi per contrastare le mafie, la dimensione culturale di riutilizzo sociale. Una conquista resa possibile anche dall’impegno di Libera associazione Nomi e Numeri contro le Mafie che nel 1995 promosse una imponente petizione popolare.

25 anni durante i quali, nonostante i passi in avanti compiuti, non abbastanza è stato fatto per assicurare che gli stessi beni non fossero degradati, danneggiati, abusivi, difformi rispetto a norme antisismiche al momento della consegna a enti locali, associazioni e cooperative, deputati a realizzare il fine sociale.

«Nessun dato complessivo è ad oggi disponibile sull’effettiva riutilizzazione sociale dei beni usciti dalla gestione dell’Agenzia. Per questo è adesso in corso un monitoraggio grazie ai nuclei di supporto delle Prefetture. A breve si dovrebbe avere l’esito con i dati dei beni consegnati e rimasti inutilizzati e le motivazioni per cui ciò è avvenuto. La carenza di risorse finanziarie è sicuramente tra le cause principali», ha spiegato Massimo Nicolò, dirigente della sede secondaria di Reggio Calabria dell’Agenzia nazionale dei Beni sequestrati e confiscati.

«La magistratura sequestra e confisca beni la cui provenienza lecita non sia stata dimostrata, dunque passano in gestione all’agenzia beni di ogni tipo, palazzi di pregio come case diroccate. Qualora ne ricorrano i presupposti giuridici, questo è ciò che deve essere fatto», ha spiegato ancora Massimo Nicolò.

Dunque la questione del riutilizzo sociale non può essere disgiunta dalla situazione generale per la quale l’agenzia gestisce una mole di beni, immobili, terreni, aziende che arrivano così come la magistratura li confisca. Condizioni che transitano in capo a chi li avrà in destinazione e poi in assegnazione, senza che la disponibilità possa in alcun modo coincidere con immediata utilizzabilità.

Il riutilizzo sociale e la carenza di fondi

«Gli enti locali sono stati individuati dal consiglio direttivo dell’agenzia quali enti principalmente destinatari dei beni immobili confiscati purché li utilizzino per fini sociali. C’è, tuttavia, una carenza di fondi, invece necessari per mettere a norma questi immobili, che ne compromette il diffuso riutilizzo sociale. Alla luce dell’esperienza per la quale si sono ritrovati nel patrimonio beni non utilizzabili immediatamente, ultimamente i vari enti stanno iniziando ad esaminare attentamente la questione prima di fare a noi richiesta», ha spiegato ancora il dirigente Nicolò.

Esiste, dunque, la questione aperta legata ai fondi non sufficienti affinché la disponibilità, attestata dall’agenzia impegnata a verificare l’assenza di crediti in buonafede da soddisfare sugli stessi immobili, coincida con utilizzabilità, ossia con la fruibilità e la possibilità concreta di restituzione di questi beni alla collettività. Per parte sua l’agenzia garantisce di prediligere la destinazione agli Enti locali proprio per privilegiare il riutilizzo sociale. «Questa prospettiva costituisce l’essenza dello spirito della legge e dell’attività dell’agenzia poiché rappresenta per la comunità un forte segnale di riscatto e rigenerazione sociale», ha sottolineato Massimo Nicolò.

C’è una piccola percentuale di beni costituita da quote che devono essere separate dal resto, con un processo di divisione che richiede tempo. A volte capita anche qualche bene sul quale pende un’ordinanza di demolizione mai eseguita. Altri sono segnati dal tempo e dall’abbandono e senza ingenti somme non possono essere recuperati. L’eterogeneità delle situazioni fa il paio con le diverse condizioni che si riflettono sulle possibilità di impiego nel momento in cui, eseguiti i passaggi ai quali è deputata l’agenzia, questi beni giungono a destinazione.

Il bando sperimentale

Dal 2017 è possibile destinare direttamente alle associazioni di volontariato. Lo scorso anno è stato pubblicato un bando che metteva a disposizione oltre 1400 beni in tutta Italia, di cui circa 160 in Calabria. A fronte di numerosi sopralluoghi, circa 170 sono state le richieste. Evidentemente le condizioni in cui i beni versavano non erano particolarmente appetibili. Si è trattato di una sperimentazione. Si sta valutando di procedere adesso con altri bandi mirati ma resta la criticità dei lavori di recupero e messa a norma per rendere i beni utilizzabili.

La sede nazionale “sottratta” a Reggio Calabria

Solo negli ultimi mesi si era alla ricerca di 40 unità di personale da dislocare in tutte le sedi dell’agenzia. Esiste, infatti, una questione altrettanto annosa e irrisolta attinente al personale in forza all’agenzia che dal 2017 ha la sua sede principale a Roma, e non più a Reggio Calabria come nel momento della sua istituzione nel 2010. A Reggio insiste adesso una delle quattro sedi secondarie con competenza estesa dalla Calabria anche a Basilicata, Puglia e Sicilia Orientale e con in gestione circa 9000 beni tra immobili, fabbricati e aziende. Di questi oltre 3000 (degli oltre 8000 gestiti finora) risultano insistenti in Calabria, terza tra le regioni con il maggior numero di beni confiscati dopo Sicilia e Campania. Reggio spicca anche tra le città metropolitane con Palermo, Napoli e Roma, dove per altro insistono le altre tre sedi secondarie dell’agenzia.

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