sabato,Maggio 18 2024

Lucano, il tribunale di Locri: «Nessun reato di umanità. Ecco come funzionava il Sistema Riace»

Le motivazioni della sentenza di condanna inflitta all'ex primo cittadino. «Accoglienza strumentalizzata per fini politici»

Lucano, il tribunale di Locri: «Nessun reato di umanità. Ecco come funzionava il Sistema Riace»

Nessuna traccia dei reati di umanità e un modello, quello di Riace, diventato sistema. Sono impietose e pesantissime le motivazioni del tribunale di Locri della condanna a 13 anni e due mesi di reclusioni inflitta all’ex sindaco Mimmo Lucano per illeciti sulla gestione dei progetti di accoglienza ai migranti. Dalle oltre 900 pagine firmate dal presidente del collegio locrese Fulvio Accurso emerge «un quadro per nulla rassicurante e a tinte fosche, in relazione al quale si dimostra che il dibattito celebrato a Locri non ha neppure sfiorato la tematica dell’integrazione virtuosa e solidale praticata nei primi anni, ma ha messo in luce meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull’avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio “arrembaggio” ai cospicui finanziamenti che arrivavano in quel paesino, che per anni era stato economicamente depresso, tanto da tradursi in una sottrazione sistematica di risorse statali e della comunità europea».

In buona sostanza, secondo i giudici locresi, nelle numerosissime pagine di intercettazioni e di documenti esaminati «non vi è traccia dei fantomatici “reati di umanità” che sono stati in più occasioni evocati da più parti, in quanto le vorticose sottrazioni che sono state compiute non servivano affatto a migliorare il sistema di accoglienza e la qualità dell’integrazione dei migranti, ma solo a trarre profitto, nelle diverse forme e che non avranno nessuna connotazione altruistica, né alcunchè di edificante».

Il ruolo di Lucano in Città Futura

Secondo il tribunale di Locri «Il ruolo di presidente era ricoperto solo formalmente da Fernando Capone, il quale operando quale prestanome di Lucano, ha consentito a quest’ultimo di occuparsi in prima persona di ogni affare relativo alla gestione dell’accoglienza, che andava dall’assunzione o dal licenziamento dei singoli operatori, fino alla redazione dei rendiconti, spesso falsificati mediante impiego di fatture per operazioni inesistenti. Il tutto attuato in una condizione di assoluta incompatibilità tra il ruolo formale dallo stesso Lucano ricoperto, che era quello di responsabile dei progetti di accoglienza, e quello di presidente di fatto dell’associazione capofila attraverso cui egli amministrava i fondi che arrivavano (spesso stornandoli a propri fini privati, con risvolti di natura eminentemente politica) o gestiva concretamente il potere, e ciò con il fine ultimo e permanente di recuperare più voti possibili per la prosecuzione della sua carriera di amministratore e di politico di rango, così trasformando la sua autentica passione umanitaria in un manifesto di pura facciata, dietro cui si celava il demone ossessivo da cui egli era divorato, costituito dalla ricerca costante di una sempre maggiore visibilità, da attuare ad ogni costo, tanto da non essere più riconosciuto dalle persone che gli stavano accanto, come la compagna Lemlem, che valutando i compromessi al ribasso a cui lo stesso si era piegato pur di raccattare qualche voto in più, non esitava a contestarlo aspramente».

Per il tribunale «Egli continuava a gestire quell’associazione che aveva contribuito a creare, determinando un insanabile conflitto di interessi, che sta alla base dei fatti di reato in quanto egli, in spregio ad ogni norma giuridica e alle più elementari regole di opportunità, ha continuato a gestire quell’organizzazione in modo sostanzialmente padronale.

La relazione “positiva” della Prefettura

Tra le argomentazioni avanzate dalla difesa a sostegno di Lucano, una delle più importanti riguarda la famosa relazione da libro Cuore redatta dai funzionari della Prefettura a Riace in seguito ad altre tre stilate da diversi ispettori inviati dal Viminale nel borgo della Locride. «Nell’unica relazione positiva – annota il collegio – si delineava soltanto l’ingegnosità del modello Riace, redatta da funzionari che erano in rapporto di amicizia con Lucano per come emerso dalle intercettazioni, e non ha modificato il fosco quadro di allarmante disordine amministrativo e contabile che era emerso dai tre elaborati che l’avevano preceduta, in quali funsero da campanello d’allarme di una situazione di fortissima anomalia. Quello che emerge è il vero tradimento degli ideali di accoglienza e di solidarietà, successivamente soffocati da una sfrenata sete di visibilità politica da parte di Lucano, risultato essere il vero e proprio deus ex machina di quel sistema sotterraneo e perverso, realizzata tramite sottrazioni reiterate e mirate di denaro pubblico e creazioni di odiose clientele e atti di favoritismo per parenti e amici, in una logica di bieco utilitarismo, che veniva nascosto dietro l’ipocrita bandiera dell’umanità solidale e integrate, che però veniva sventolata solo per coprire i gravi illeciti compiuti».

Il rendiconto Cas manipolato da Lucano

Nel mirino del tribunale finiscono anche le «Macroscopiche condotte di falsificazione del rendiconto Cas, relativo al secondo semestre 2016, al fine di gonfiare i costi ed ottenere così una disponibilità economica indebita da poter utilizzare ai fini privati conseguendo un ingiusto profitto. Conversazioni importanti che mettono in luce il reato di stampo associativo che andava al di là del singolo delitto commesso, in quanto era espressione di una loro immanente e reciproca messa a disposizione, per ottenere guadagni facili dalla gestione dei progetti di accoglienza, tanto da trasformare il così tanto decantato Modello Riace in un sistema speculativo di basso profilo, volto all’accaparramento vile di pubbliche risorse, e privo di ogni forma di idealità. Mentre prima del luglio 2016 i rendiconti venivano presentati con cadenza regolare e bimestrale (ma senza documentare nulla), dalla seconda metà del 2016 fu necessario avere dei documenti giustificativi per ottenere i così tanto sospirati rimborsi. Fu per questo motivo che l’ex sindaco di Riace e i suoi collaboratori si attivarono in ogni modo per gonfiare il rendiconto».

Conclusioni

«Da dominus indiscusso del sodalizio – conclude il collegio del tribunale locrese – Lucano ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica, nominando i rappresentati legali di varie associazioni tramite affidamenti diretti, nella consapevolezza che questi, pur privi di ogni competenza tecnica nel campo dell’assistenza e dell’integrazione dei migranti, erano tuttavia dotati di fedeltà assoluta ai suoi voleri ambiziosi che assecondavano fornendogli sostegno elettorale. Un’organizzazione tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole ben precise a cui tutti puntualmente si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano che ne era al vertice, il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso sofisticati meccanismi, collaudati negli anni, e che ciascuno di essi eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale e in cambio  di contributi annuale per il Riace Film Festival e per le ulteriori manifestazioni collaterali, che venivano da ciascuno di loro effettuate attingendo a fondi pubblici, attraverso una sorta di contrazione dei rispettivi profitti conseguiti illecitamente, alimentando la sua visibilità politica e il suo potere».

Lucano in buona sostanza, essendosi reso conto che gli importi che venivano elargiti dallo Stato per governare quel fenomeno erano più che sufficienti allo scopo, «piuttosto che restituire quello che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse, con creazione di progetti di rivalutazione del territorio che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti (tra cui l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica), che costituivano una forma sicura di arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse». Il sistema Riace ruotava dunque attorno «all’illegale approvvigionamento di risorse pubbliche, che si basava su una piattaforma organizzativa ben collaudata e stabile e che si avvaleva dell’esperienza e della forza politica che Lucano possedeva e che esercitava in forma padronale ed esclusiva».  

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