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Reggio, il partigiano Aldo Chiantella: «Il 25 aprile 1945, nell’Italia libera, iniziai anche io una nuova vita» – VIDEO

Nel giorno della Liberazione dal nazifascismo e della vittoria della Resistenza, la memoria vive nel racconto di un instancabile testimone che da giovane in Friuli scelse la battaglia con il nome di Fieramosca

Reggio, il partigiano Aldo Chiantella: «Il 25 aprile 1945, nell’Italia libera, iniziai anche io una nuova vita» – VIDEO

«Il 25 aprile 1945 rappresenta uno spartiacque nella storia del nostro Paese. In questo giorno del 78 anni fa iniziava a essere scritto un nuovo capitolo. Il primo dopo la dittatura e l’occupazione. Il primo verso la Repubblica, la Democrazia e la Costituzione.

Quel 25 aprile è stato anche l’inizio della seconda parte della mia vita, dopo la battaglia, la prigionia e la fuga. Esserci ancora oggi per ricordare è un dovere di ogni cittadino italiano».

Queste oggi le parole di Aldo Chiantella, il partigiano Fieramosca, classe 1925, combattente reggino che lasciò la città dello Stretto dopo i bombardamenti del maggio del 1943 per raggiungere dei parenti già rifugiarsi in Friuli. Lì Aldo Chiantella maturò la scelta di unirsi ai Partigiani e così prendere parte alla Resistenza italiana per combattere contro gli oppressori e conquistare la Libertà dell’Italia.

Scegliere la Resistenza

Decisivo fu l’incontro con l’antifascismo militante nel luglio del 1943. Così, con il nome di uno storico combattente che lo ispirava, Ettore Fieramosca di Capua, da uomo del Sud con altri fece la Resistenza al Nord dove essa fu combattuta. Determinazione e abnegazione lo guidarono fino alla cattura da parte dei tedeschi, avvenuta il 10 febbraio 1945. Compì 20 anni nel carcere di Spilimbergo. Fu condannato a morte. Dunque l’evasione gli valse la vita e un 25 aprile 1945 da uomo libero.

«Riuscire a scappare e a sopravvivere non fu facile ma oggi sono qui a dire che in questo giorno di 78 anni fa la mia vita è ricominciata da uomo libero, quale sempre sono stato, da allora in un Paese finalmente libero», racconta ancora Aldo Chiantella.

Anche con il suo contributo, dopo la Seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca, fu conseguita finalmente la Liberazione dell’Italia e la caduta definitiva del fascismo.

16 mesi nelle montagne

«Penso sia un dovere collettivo non mancare a questo appuntamento con la storia e con la memoria e riservare un pensiero a coloro che invece hanno perso la vita sulle montagne, dove anche io ho combattuto per 16 mesi.

La paura era una nostra compagna costante. Mai ci sentivamo sicuri, circondati come eravamo dai tedeschi. Ogni giorno non sapevamo se saremmo sopravvissuti alla loro persecuzione. Ma noi combattevano contro le squadre nemiche che sorvegliavano la zona. Abbiamo rischiato la vita ogni giorno, cercando di fare il nostro dovere di cittadini italiani, a difesa della Libertà e della Giustizia».

«Anche io ho ucciso e conosco il tormento»

Aldo Chiantella continua a testimoniare e a ricordare anche se quella memoria fa pure male e incalza la sua coscienza. «Le guerre non sono finite e non finiranno mai. Subiamo la condanna di dovere vigilare sempre affinché la libertà delle persone non venga violata. E in guerra purtroppo si uccide. Anche io ho ucciso e quello che ho fatto non mi conforta né mi rende orgoglioso. Mi insegna, invece, la pazienza per dover sopportare. La violenza mai ripaga e non ti lascia più».

Nella poesia “Nella sagra del sangue“, Aldo Chiantella manifesta tutto il suo tormento e lancia un monito.

«Anche io nella sagra del sangue ho immerso il ferro e le mani. Ho ucciso uno sconosciuto che mi era fratello. Un innocente che torna a trovarmi ogni notte e a domandarmi perché. Ma quale risposta? Il tempo consuma ogni giorno le nostre certezze e la coscienza non offre un giusto motivo alla morte».

L’altra faccia della Resistenza

La guerra dunque è sempre spietata e foriera di morte e dolore, anche quando la si combatte contro un nemico oppressore che non lascia scelta altra. Aldo Chiantella porta questo fardello, non lo nasconde, non lo mistifica, lo condivide anche e soprattutto il 25 aprile, al momento di rinnovare l’impegno che poi è quotidiano di testimone della Storia e della Resistenza. Lo ha condiviso anche nel suo libro “Chiamatemi Abele” (Gangemi editore).

«È l’altra faccia della Resistenza: quella della sofferenza, del sacrificio estremo, delle vittime innocenti, del gioco crudele che esibisce la morte come infamia, come elemento di dissuasione, che poi, misteriosamente, agisce invece da stimolo sulla volontà di riscatto. “Attorno a lui, la paura aveva voluto il deserto ed il silenzio. Ai piedi di quella moderna croce – scrive Aldo Chiantella – non vi furono donne piangenti e la terra non tremò, né si oscurò il sole…».

La storia silente

«Il bene crescente del mondo è parzialmente dipendente da atti ignorati dalla storia; e se le cose non vanno così male per te e per me come avrebbe potuto essere, si deve in parte al numero di persone che vissero fedelmente una vita anonima e riposano in tombe dimenticate».
Sono parole della scrittrice britannica Mary Ann Evans che il mondo ha costretto a nascondersi, dietro il nome maschile di George Eliot, per potere scrivere.

Dunque la storia e la vita sono assetate di luce, memoria e verità affinché nessuna tomba sia dimenticata e chi sia stato costretto all’anonimato e all’invisibilità abbia un nome e non debba più nascondersi. L’oblio non inghiottisce soltanto. Esso alimenta forze contrarie a quel “bene crescente nel mondo”. In esso si annidano nuovi mali e sono in agguato nuovi vecchi orrori. La memoria è vitale.

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