Reggio, 15 luglio 1970 la prima vittima della rivolta per il capoluogo calabrese negato

di Vincenzo Imperitura – Quarantasei anni, frenatore nelle Ferrovie dello Stato, sposato e padre di un bambino di 9 anni, Bruno Labate viene ritrovato esamine da una pattuglia dei carabinieri poco prima di mezzanotte in via Lagoteta a Reggio Calabria.

È il 15 luglio del 1970, dalla prima seduta del neo eletto consiglio regionale che avrebbe dovuto tenersi negli uffici della Provincia a Catanzaro (seduta saltata per l’assenza di parte dei consiglieri eletti nel distretto di Reggio) sono passati solo due giorni, ma a Reggio la situazione è già precipitata, esplodendo in una protesta di popolo ancora libera dai “boia chi molla” che, da lì a qualche settimana, trascineranno la città in un incubo urbano lungo quasi un anno. 

Un incubo che alla fine farà registrare 5 morti, migliaia di feriti, quasi mille arresti e danni per miliardi di lire

Il 18 luglio è il giorno dei funerali di Bruno Labate, prima vittima dei “moti”, e in città la tensione si taglia a fette. Nulla però succede durante l’affollatissimo funerale celebrato, ironia della sorte, in una chiesa vicinissima all’attuale sede del Consiglio regionale. E nulla succede durante il lunghissimo corteo a cui partecipa buona parte della cittadinanza che accompagna la salma verso il cimitero di Condera attraversando le vie del centro. Ma è solo questione di tempo. 

Poco dopo le 13 infatti centinaia di reggini convergono davanti agli uffici della questura prendendola d’assalto. 

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