“Atto quarto”, imprenditori coraggiosi mettono alla porta la ‘ndrangheta reggina

Un canovaccio in perfetto stile ‘ndranghetistico. Un registro delle quote del “pizzo” versato per poter lavorare. 

Atto quarto

La figura dell’imprenditore Herbert Nunzio Catalano, vittima delle attenzioni estorsive della ndrangheta reggina, è diventata centrale nell’operazione “Atto quarto”. Un’attività che ha dato un duro colpo alle cosche reggine Libri, de Stefano – Tegano. 

La sua figura era già emersa nel 2022. Quando il GIP del Tribunale di Reggio dispose la custodia in carcere nei confronti degli indagati Giovanni Zindato e Carmine Pablo Minerva. Entrambi ritenuti gravemente indiziati perché, in concorso morale e materiale tra loro, in qualità rispettivamente di mandante ed esecutore materiale «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. Con minaccia, anche implicita, derivante dall’evocazione delle regole di ‘ndrangheta tradizionalmente applicate sul territorio per la “messa a posto” e l’imposizione del “pizzo”.

Sottintendendo e prospettando azioni ritorsive in caso di mancato accoglimento della richiesta, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere Catalano a versare imprecisate somme di denaro».

Le estorsioni

Gli uomini si presentarono al cantiere e a un dipendete hanno detto espressamente “Sai che siamo quelli di San Giorgio”, facendo esplicito riferimento alla cosca che controlla quel territorio.

Diverse le “visite” e i sopralluoghi al cantiere. Anche al fine di «individuare i mezzi e i veicoli aziendali da sottoporre a danneggiamento incendiario in caso di inottemperanza alle richieste estorsive».

Per gli inquirenti si tratta di un fatto aggravato «per essere stato commesso facendo implicito riferimento alla necessità di cedere parte dei ricavi dell’attività economica all’articolazione di ‘Ndrangheta nel cui territorio ricade la predetta attività. Nonché alla forza intimidatoria derivante dalla associazione che, in caso di mancata ottemperanza alla richiesta estorsiva, sarebbe intervenuta con l’uso della violenza interrompendo i suddetti lavori edili. Ed al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa articolazione egemone nel territorio di San Giorgio».

Il danneggiamento

Era il 2 dicembre 2022, quando ignoti appiccarono il fuoco, danneggiandolo, al deposito aziendale di Catalano. Da quel momento l’imprenditore «aveva erogato al Libri, a titolo di “messa a posto”, somme variabili tra i 500 e i 1000 euro. Venivano richieste secondo il più tipico canovaccio di ‘ndrangheta per il sostentamento dei familiari dei detenuti».

La testimonianza

 [“..iniziai a vede… a vederlo in corrispondenza di alcune… che poi sono le date di mietitura classiche, quindi a Pasqua e a Natale. E in queste circostanze lui formalizzava la sua richiesta che… per quello che potevo insomma cercavo di corrispondere proprio per smorzare questi problemi (…) parliamo di somme di 500 euro, di 1000 euro (…) mi venivano chieste, mi venivano chieste proprio a titolo di…eh.. allora venivano finalizzate all’aiuto delle famiglie dei carcerati, questa era la frase classica… (…) erano finalizzate al fatto che questo mi consentiva di poter lavorare senza avere… (…) la classica messa a posto.

Su questo è subentrato una figura, perché il mio problema era reale, era tangibile ed era arrivato anche ai fratelli Barreca questo problema e quindi loro avevano difficoltà a darmi questi lavori, perché nel dubbio se il lavoro era mio o se era di Redel in giro comunque cominciavo ad avere difficoltà, si presentavano in maniera continuativa, quindi… ]

Estorsioni andate avanti per anni. Nel 2020, però, Catalano ha deciso di dire basta. E, avendo iniziato a frequentare le associazioni antiracket, aveva trovato il coraggio di opporre un categorico diniego alle richieste di pizzo.

L’imprenditore si ribella alla mafia

Un imprenditore attivo nel settore dell’edilizia reggina. Proprio per questo per gli inquirenti «Non v’è ragione di sorta che possa indurre a ravvisare un suo intento calunniatorio. Nei confronti dei soggetti da lui accusati con indicazioni precise, lineari ed estremamente dettagliate. Al riguardo, non deve sfuggire che la cosca Libri è una tra le più temibili articolazioni di ‘ndrangheta operanti nell’area reggina.

Anche le più recenti acquisizioni investigative hanno certificato l’attuale operatività della ‘ndrina di Cannavò e la sua frenetica azione vessatoria in danno di imprenditori e commercianti costretti ad accettare silentemente le regole del “pizzo”».

La storia dei Libri, anche in questa inchiesta, come in altre sentenze, è stata cristallizzata come «caratterizzata dalla costante e sistematica imposizione del proprio potere mafioso – acquisito, nel corso dei decenni, anche grazie alle più drammatiche ed inquietanti intimidazioni e ritorsioni – quale strumento di infiltrazione nel tessuto economico sociale della città di Reggio Calabria e dell’intera provincia.

In un simile contesto, è ben poco plausibile l’eventualità che un imprenditore decida di rivolgere, calunniosamente, l’accusa di estorsione (giusto) ad esponenti di una delle più famigerate cosche della città, in cui egli stesso vive ed esercita la sua attività professionale. La mafia, com’è noto, non è tradizionalmente clemente con chi, rompendo il vincolo omertoso, denuncia i suoi reali estortori; ma ancor più rischiosa si rivelerebbe la condotta di chi dovesse (per ragioni oggettivamente imperscrutabili) chiamare in reità esponenti delle ndrine, senza che detti reati siano stati effettivamente commessi». Questa realtà è ben nota a chi, come l’imprenditore Catalano «da anni vive ed opera a queste latitudini».

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