martedì,Aprile 30 2024

L’INTERVISTA | I trenta mesi di Falcomatà, dal “nuovo inizio” alla riconnessione sentimentale con i reggini

Il sindaco rientra a Palazzo San Giorgio coi pieni poteri e la «lezione della sospensione» da condividere con la sua squadra. Le emozioni e la forza della famiglia. I buoni propositi e l’attività da rilanciare. «Scopelliti? Niente di strano». E sulla vicenda Reggina un consiglio a Brunetti…

L’INTERVISTA | I trenta mesi di Falcomatà, dal “nuovo inizio” alla riconnessione sentimentale con i reggini

Splende il sole, in questa pazza fine di ottobre, su Palazzo San Giorgio. Giuseppe Falcomatà fieramente fa il suo ingresso dalla porta principale – uno dei suggerimenti appena tornato ieri mattina a Piazza Italia è stata chiedere di aprire le porte laterali – e sfoggia un sorriso di quelli che non si vedevano da un pò di tempo.

Riprende in mano il lavoro lasciato a metà nel suo secondo tempo interrotto dalla sospensione subita, e cancellata dalle carte processuali con la sentenza della Corte di Cassazione. Rientra quindi né da condannato né da “prescritto”, ma addirittura da assolto.

«È una grandissima soddisfazione. Nessuno di noi ha mai smesso nemmeno per un minuto di credere alla bontà della giustizia, alla trasparenza delle decisioni che avrebbe preso la magistratura, e allo stesso tempo eravamo convinti della legittimità del nostro operato e sapevamo che prima o poi questo sarebbe stato affermato. E la gioia di questa assoluzione piena, in parte e in qualche modo, mi fa recuperare dalle tante amarezze di questi ventiquattro mesi. Mesi molto difficili, mesi molto duri, mesi molto intensi che hanno messo a dura prova me e la mia famiglia. Ma anche la città. Perché con la sospensione del sindaco in qualche modo è tutta la collettività che viene sospesa perché viene privata del primo cittadino che democraticamente è eletto per rappresentare i propri bisogni, le proprie istanze, per dargli mandato e la responsabilità di migliorare la qualità della loro vita. Quindi interpretiamo questo che è accaduto nel modo migliore possibile, e cerchiamo di trarre migliori lezioni, migliori insegnamenti prima di lasciarcelo alle spalle e tradurre tutto questo in un nuovo inizio per la città».

A Roma, il sindaco ancora sospeso ci è andato insieme a tutti quelli che erano coinvolti nel processo Miramare. La tensione si tagliava col coltello.

Sappiamo che ci sono stati anche momenti di emozione, ma dopo la comunicazione della sentenza a chi l’ha comunicato per prima?

«Ho chiamato prima mia moglie, poi ho chiamato naturalmente mia madre e poi ho chiamato mia sorella. Sono state le prime tre telefonate, interrotte. Perché mi ero ripromesso di non emozionarmi, di non commuovermi, però non si riescono a controllare le emozioni, per fortuna aggiungerei, e quindi erano telefonate un po’ interrotte anche dalla commozione anche delle persone al telefono».

Anche a caldo in qualche maniera ha voluto rendere pubbliche le difficoltà vissute non solo a livello personale, ma anche dalla sua famiglia. Da queste parole si capisce bene che la famiglia è stata importante per superare questo momento di difficoltà personale, e collettivo standole vicino…

«Quando succedono queste difficoltà ci sono due strade: le famiglie si possono disgregare o possono trovare maggiore unità ancora, quindi fare scudo rispetto alle difficoltà che provengono dall’esterno. Per fortuna la mia famiglia che nel corso degli anni anche quando ero più piccolo di difficoltà di cattiverie ne ha affrontate tantissime, ha sempre trovato dentro di sé la forza per non solo rimanere unita ma per unirsi ancora di più. Ed è successo anche in questo caso»

Quindi sindaco in un momento in cui anche la famiglia sembra in qualche modo entrare in crisi lei la considera ancora un valore “attuale”?

«Un valore assoluto, direi. Ed è quello più di tutti non soltanto da proteggere, ma anche nel quale trovare protezione come è successo a me. Poi se vogliamo allargare il discorso anche al sindaco, il sindaco ha una famiglia allargata che è quella della città, e io lo stesso affetto anche un po’ la stessa protezione l’ho trovata in questi quasi ventiquattro mesi nei miei concittadini che quotidianamente, per strada, in città insomma, con un semplice sorriso o una pacca sulla spalla, anche con un incoraggiamento ad andare avanti, mi hanno dato la forza di resistere. Un termine che abbiamo utilizzato in questo periodo».

Lei ha sempre sostenuto di avere fiducia nella giustizia, una frase che per molti è di circostanza, mentre per lei ha avuto un senso compiuto. Ma io le chiedo come sta metabolizzando questo fatto di essersi visto condannato in due gradi di giudizio ma di essere stato “liberato” dalla Suprema Corte?

«Per me dire ho fiducia nella giustizia non è una frase di etichetta. Noi culturalmente abbiamo fiducia nelle istituzioni, e non potrebbe essere altrimenti. Nel senso che è una cosa connaturata all’educazione che ho ricevuto e al modo di interpretare anche il mio ruolo. Non può non esistere la fiducia nelle istituzioni, la magistratura è una istituzione, e di conseguenza non può esserci minimamente il dubbio sulla vera e concreta fiducia nella magistratura. Rispetto a questa vicenda – ammette – c’è stata una particolare attenzione. In questi due anni mi sono sempre chiesto quale fosse effettivamente il reato che mi si contestava e la risposta è arrivata dalla Suprema Corte di Cassazione. Abbiamo dovuto aspettare il terzo grado di giudizio però l’importante era che si chiarisse questa vicenda»

La sua vicenda giudiziaria riporta all’ordine del giorno, se ce ne fosse bisogno, il dibattito sul reato di abuso d’ufficio e sulle conseguenze della legge Severino. Tutti ne parlano, tutti ce l’hanno sulla bocca, da anni, ma ancora oggi rimane un reato che mette alla berlina i sindaci.

«C’è una discussione che va avanti da anni in tutte le assemblee, almeno negli ultimi nove da quando sono sindaco. Si è sempre parlato della necessità non soltanto di rivedere l’abuso d’ufficio ma di rivedere tutte quelle che sono le responsabilità dei sindaci perché a quelle responsabilità poi sono connesse delle conseguenze negative come ad esempio la sospensione, ex Legge Severino. Quello che mi posso augurare, da chi ha patito insieme alla propria città gli effetti di una sospensione, prima che si arrivasse ad una sentenza definitiva, che nel nostro caso poi è stata di assoluzione, possa contribuire a dare la spinta decisiva a concluderlo questo dibattito, perché se noi pensiamo che questa storia non sia paradigmatica di quello che potrebbe accadere a qualsiasi primo cittadino, sbagliamo. E in quell’abbraccio affettuoso che mi hanno voluto tributare gli amici e colleghi dell’Anci c’è esattamente questa consapevolezza. Ero consapevole quando hanno voluto che salissi sul palco per essere salutato, che negli occhi di tutti c’era la consapevolezza di poter passare anche loro e di poter vivere anche loro quello che è accaduto a me. Naturalmente questo non significa fare la vittima, fare del vittimismo, né tantomeno mi voglio presentare come tale, ma significa che bisogna fare sintesi, concludere, bisogna che tutto quello che oggi è sul tavolo del governo veda al più presto la conclusione».

In questi due anni ha detto di aver vissuto fuori dal palazzo non più da “primo”. Ma da semplice cittadino. Che esperienza è stata?

«Io sono abituato a cercare di trovare le cose positive anche laddove non sembrano esserci. Questa sospensione mi ha liberato da quelle che erano un pò le ingessature del ruolo e da quelli che erano i compiti connessi all’esercizio del ruolo di sindaco. Quindi tutta l’attività “più fredda e più burocratica” non mi ha impedito di continuare a essere sindaco e quindi di sentirmi tale ogni qualvolta mi trovavo per strada piuttosto che al bar, al supermercato, in farmacia, in pizzeria, a scuola, fuori dagli allenamenti dei miei figli. Insomma in tutti quei luoghi che purtroppo avevo vissuto meno sino al tempo prima della sospensione, e che invece ho avuto modo di frequentare molto di più. Quando dicevo trarre lezioni giuste da questo periodo di sospensione, significa anche questo. Dedicare meno tempo a riunioni, spesso inutili, spesso improduttive, che non fanno altro che appesantirti, logorarti, stancarti, e dedicarne molto di più a quella che è la vita sociale nella città».

Ma quella poltrona la sente più comoda o più scomoda di quando l’ha lasciata?

«Non è mai stata comoda questa poltrona, però volendo restare nella similitudine poltrona credo che questi trenta mesi che abbiamo davanti, devono essere vissuti molto più per strada a consumare le suole delle scarpe anziché stare seduti in poltrona, comoda o scomoda che sia».

A tanti anni di distanza è tornato a prendersi la scena, e la piazza, Giuseppe Scopelliti, che tra l’altro per come raccontato da Nino Zimbalatti ha fatto i complimenti per l’assoluzione. Che idea si è fatto da cittadino prima e oggi da politico?

«Neutra. È sempre stato un uomo che ha fatto politica, è normale che una volta scontata la sua pena voglia tornare a fare politica. Non ci vedo nulla di strano. Dopodiché, quali saranno insomma i modi, i tempi, i partiti ovviamente non è dato saperlo, né tantomeno io sono nelle condizioni di poterlo sapere. Però insomma mi pare una cosa del tutto naturale, non ci vedo nulla di particolare»

Ma rispetto a quello che è stato detto, crede che a tanti anni di distanza occorra ancora fare un’operazione verità sul Bilancio?

«Mah, rispetto a quello che ha detto più che un’operazione verità, verrà ristabilita la verità a tempo debito. Non sono cose sulle quali diciamo c’è da commentare, c’è da obiettare. Sono cose che già sono state accertate in tre gradi in giudizio, quindi mi pare anche superfluo parlarne, se non per ristabilire alcune cose che sono state dette e che hanno profili di non correttezza, non voglio usare altri termini. Sono cose inesatte, sono cose non corrente, insomma non è questa la fase in cui occuparsene perché ci sono altre priorità. Però sono cose che sono in agenda».

Sindaco sin da subito ha parlato proprio di un “nuovo inizio”, terzo tempo per altri, anche perché in questi ultimi due anni sono successe tante cose in questa città.

«Chi pensa che il “nuovo inizio” possa essere rappresentato soltanto da una semplice sostituzione degli orchestrali sbaglia di grosso, perché cambiare gli orchestrali e suonare sempre la stessa musica significherebbe non avere capito la lezione di questa sospensione. Parlo di lezione perché io non ho fatto il sindaco in questo periodo, nel senso che non ho firmato atti documenti delibere e ordinanze, ma non ho mai smesso di sentirmi sindaco. Ho continuato a vivere la città, a viverla di più, a viverla meglio nelle sue pieghe sociali e culturali, le sue associazioni, le sue istituzioni scolastiche, sportive, religiose. Quindi un nuovo inizio significa che tutto quello che noi dovremo andare a fare, per completare il nostro mandato, per tradurre in fatti concreti la visione di città per la quale i cittadini ci hanno eletto, parte da una riconnessione sentimentale con i cittadini. Quindi vivere meglio, tutti. Ma non lo deve fare naturalmente solo il sindaco. Chiunque abbia responsabilità istituzionali deve prima di tutto sentire sulla propria pelle quello che è il contatto diuturno, quotidiano, continuo con la città. Non solo per raccontare e condividere la visione della stessa ma anche per spiegare quelle che sono le difficoltà o i rallentamenti nel realizzarlo».

Molti sostengono che dietro le scelte di Brunetti ci sia stato sempre lei, e anche dietro la vicenda Reggina, si sia concretizzata una scelta politica più che sportiva. C’è qualcosa che non avrebbe fatto al posto di Brunetti?

«Allora, io ho seguito sempre con più distacco le vicende del quotidiano che riguardavano il comune. Per me all’inizio è stato difficile perché ero ancora pienamente compenetrato nel ruolo del sindaco in quanto capo dell’amministrazione. Dopodiché il tempo come sempre fai il suo, ed ho seguito soltanto le questioni macro, cioè quelle di cui si può anche occupare un sindaco sospeso perché non riguardano l’amministrazione ma riguardano la politica e l’indirizzo politico. Ho visto che in molti hanno gridato allo scandalo quando Paolo ha detto che quella sulla vicenda Reggina è stata una scelta politica. Ma che altro tipo di scelta doveva essere? Il sindaco è un politico, il sindaco fa politica. Tutte le nostre decisioni sono decisioni politiche. La mia intervista è un’intervista politica. Altro sarebbe stato se avesse detto: è stata una scelta partitica, è stata una scelta dettata dal mio partito. E allora se noi pensiamo che anche la scelta, che è una responsabilità che si dà esclusivamente al sindaco. Mi chiede cosa non avrei fatto io. Ma capiscono lo spirito col quale lo ha fatto lui. Ha voluto condividere questa decisione, ma non gli era richiesto, perché questa è una competenza esclusiva del sindaco. Ha voluto condividere con altri attori, con altri esperti, e in qualche modo questo ha favorito l’alimentazione di un dibattito perché poi ognuno si è sentito in diritto di dire la propria. Ma dove è scritto che l’altra scelta sarebbe stata migliore? Non è scritto da nessuna parte neanche che questa sia la migliore, ma non è il certo per l’incerto. Da quando sono sindaco sono cambiati cinque presidenti della Reggina, e probabilmente il dibattito che si sarebbe dovuto sviluppare in città doveva vertere sul perché in altre città l’imprenditoria locale riesce da anni e tenere una squadra in Serie A, in serie B, e nella nostra città questo percorso invece ha maggiori difficoltà.

Perché poi se la responsabilità rimane sempre della politica, questo non vale solo per la Reggina vale per tutto, è come se tutte le altre realtà tutti i famosi corpi intermediali della nostra città non avessero nessuna responsabilità. Tutto quello che accade o non accade sul territorio non può essere soltanto responsabilità della politica. Ma se in quel caso la politica ha una responsabilità delle decisioni non glielo si può rimproverare. Quindi rispetto a quello che dicevo prima, quella scelta è una scelta esclusiva del sindaco. Paolo giustamente ha provato a condividerlo ma questo ha scatenato un dibattito in città che francamente ci saremmo potuti risparmiare».

Spesso noi cronisti, nelle nostre analisi, siamo portati a descrivere una città dilaniata, culturalmente, ideologicamente. Il che rappresenta un freno in una Reggio sfilacciata dal punto di vista economico e non solo. E la vicenda Reggina si inserisce in questo scenario con una imprenditoria che non si espone e che non ha il coraggio di investire nella città. In questi due anni ha avuto modo di riflettere su questo aspetto?

«Io in questi anni ho avuto modo di conoscere meglio alcune realtà molto positive nella nostra città e invece molto poco conosciute, che fanno un lavoro lontano dai riflettori, nei quartieri, a livello sociale, a livello culturale, a livello sportivo, che non chiedono nulla in cambio alla città Intesa com’è amministrazione, se non come dire una presenza intesa come consapevolezza del lavoro che stanno facendo. Spesso quando si dice che le istituzioni sono lontane non si vuole dire che insomma non hanno avuto nulla da quelle istituzioni, ma sono fisicamente lontane, perché è l’istituzione stessa che non percepisce la validità di quelle realtà. Rispetto a questo credo che queste realtà vadano riscoperte, da un lato, dall’altro lato bisogna invece chiamare alla responsabilità tutti i soggetti che hanno deciso di rimanere qui. Io credo che abbiamo difronte scenari positivi per la città alla luce di tutte quelle che sono le attività che noi abbiamo programmato e che questi due anni sono state portate avanti. Da questo dibattito non possiamo escludere, non solo nel prenderle protagoniste, ma anche nel responsabilizzarle. Realtà come l’Università, gli industriali reggini, la Camera di commercio. Da queste realtà credo che si possa e ci si debba aspettare di più».

Lei parla di un maggiore coinvolgimento

È questo che andremo a fare nell’immediato futuro. Coinvolgere tutti in una visione comune. Allo stesso modo tutti ci dobbiamo sentire responsabili, non possiamo più continuare a ragionare per compartimenti stagni né tantomeno possiamo pensare che il dialogo istituzionale si possa fermare semplicemente all’invito per il taglio di nastro dell’iniziativa piuttosto che diciamo alla sinergia per il comodato d’uso di quell’immobile, di quel terreno per farlo utilizzare per altri fini. È molto più grande il ruolo al quale siamo chiamati e allora quello che cercheremo di fare e di comunicare è di avere una visione alta, che coinvolga tutti da protagonisti, da responsabili. Dopodiché è chiaro che a quel punto ci si può anche tirare indietro e dire no, non ci credo, però sarebbe un peccato, perché tutte le realtà e le istituzioni che ci stanno sul territorio evidentemente ci stanno non perché non hanno dove altro andare, ma perché ci credono in quel territorio, e allora dimostriamolo coi fatti».

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