venerdì,Maggio 3 2024

Giorno del ricordo, FdI aderisce all’iniziativa organizzata per domani a Reggio dal Comitato 10 febbraio

Si terrà alle 17.30, in piazza San Giorgio al Corso e poi si proseguirà con una fiaccolata fino all'area Griso-Laboccetta

Giorno del ricordo, FdI aderisce all’iniziativa organizzata per domani a Reggio dal Comitato 10 febbraio

Il 10 febbraio è il “Giorno del ricordo”, in cui si rende omaggio alle vittime delle foibe e si ricorda la tragedia dell’esodo giuliano-dalmata. Fratelli d’Italia di Reggio Calabria aderisce e sarà presente all’iniziativa organizzata dal “Comitato 10 febbraio” per domani, alle 17.30, a Piazza San Giorgio al Corso, per proseguire poi con una fiaccolata presso l’area Griso-Laboccetta di Via Torrione, dove insiste la targa che ricorda il sacrificio di Norma Cossetto, Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria, con la seguente motivazione: «Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio, 5 ottobre 1943 – Villa Surani (Istria)”.

«Quella delle foibe – afferma il coordinamento della Città metropolitana – fu una tragedia tutta italiana, consumata da parte del X° Korpus Sloveno del maresciallo Tito spalleggiato dai partigiani italiani, un autentico genocidio, una vera pulizia etnica nei confronti della inerme popolazione italiana. Fino a qualche decennio fa poco si sapeva di questo pezzo di storia, di questo assassinio di massa che provocò la morte di circa 20mila italiani, sottaciuto o minimizzato per sessant’anni. Nel periodo che va dal 1943 al 1947 in Istria e Dalmazia, gli squadroni della morte titini sequestrarono uomini, donne, vecchi, bambini, preti, civili, soldati e poliziotti, la cui sola colpa era quella di essere italiani, depredandoli dei loro averi, infliggendo immani sevizie e violenze gettandoli poi, talvolta ancora vivi, nelle profondissime cavità naturali dell’altopiano carsico, le foibe appunto, dove morivano tra atroci sofferenze.


Solo nel 2004 con la legge n° 92 del 30 marzo – fortemente voluta e proposta da Roberto Menia, oggi senatore triestino di Fratelli d’Italia – è stato sancito l’istituzione del “Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”, da celebrarsi il 10 febbraio di ogni anno per commemorare le decine di migliaia di vittime e ricordare l’esodo di oltre 300.000 Italiani costretti a fuggire dai territori del Venezia-Giulia, della Dalmazia, dell’Istria, da Pola e da Fiume. Grazie a questa legge, la verità è ormai consolidata nella coscienza degli italiani e tanti, soprattutto giovani, hanno scoperto quelle tragiche pagine di storia cancellata.

“Sono pagine che hanno nomi, cognomi, vicende e responsabilità”, ricorda Luigi Papo, una delle figure più belle e fulgide di quel triste periodo, un combattente e uno storico. Quando Papo riuscì a fuggire dall’inferno del campo di concentramento titino di Borovnica, in cui era stato rinchiuso, fece voto che avrebbe dedicato tutta la sua vita a raccontare le storie del martirio degli italiani di quelle terre. Papo è l’autore dell’”Albo d’oro dei caduti giuliani-dalmati” che raccoglie 17.000 nomi di martiri. Dai porti dell’Istria e della Dalmazia partirono navi cariche di un’umanità dolente, verso una Patria che si sarebbe dimostrata spesso matrigna, ingiusta e impietosa, oltre ogni misura. Da cittadini divenuti profughi, affrontarono l’odissea di un esilio senza ritorno che portò quelle centinaia di migliaia di italiani a lasciare le loro terre, per altre città italiane o per mondi lontani: Stati Uniti, Australia, Canada, Argentina, Sudafrica. A essi il Partito Comunista Italiano, i suoi dirigenti, le sue organizzazioni, i suoi sindacati, i suoi militanti, riservarono la qualifica di «fascisti», rimproverandogli la «vergognosa fuga dal paradiso dell’eguaglianza e della fraternità socialista». 

E da allora che questi esuli iniziarono a subire oltre all’oltraggio criminale del genocidio anche quello crudele della memoria. Così racconta Giampaolo Pansa: “Sfuggiti al comunismo jugoslavo, gli esuli ne incontrarono un altro, non meno ostile. I militanti del Pci accolsero i profughi non come fratelli da aiutare, bensì come avversari da combattere. A Venezia, i portuali si rifiutarono di scaricare i bagagli dei ‘fascisti’. Sputi e insulti per tutti, persino per chi aveva combattuto nella Resistenza jugoslava con il Battaglione ‘Budicin’. Il grido di benvenuto era uno solo: ‘Fascisti, via di qui!’. Pure ad Ancona i profughi ebbero una pessima accoglienza, l’ingresso in porto del piroscafo ‘Toscana’, carico di settecento polesani, avvenne in un inferno di bandiere rosse. Gli esuli sbarcarono protetti dalla polizia, tra fischi, urla e insulti. La loro tradotta, diretta verso l’Italia del nord, doveva fare una sosta a Bologna per ricevere un pasto caldo preparato dalla Pontificia opera d’assistenza, ma il sindacato dei ferrovieri annunciò che se il treno dei “fascisti” si fosse fermato in stazione, sarebbe stato proclamato lo sciopero generale. Il convoglio fu costretto a proseguire e il latte caldo destinato ai bambini venne versato sui binari”.

L’Unità, organo ufficiale del Pci, (i cui eredi del Pd oggi si ergono a paladini dell’accoglienza e della tolleranza) il 30/11/1946 scriveva: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre città. Non meritano la nostra solidarietà né hanno il diritto a rubarci il pane e lo spazio che sono già scarsi”. Ci auguriamo – conclude Fratelli d’Italia – che il Parlamento approvi il progetto di legge presentato dal nostro Partito, per inserire nell’ordinamento italiano la possibilità di revoca del titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana a chiunque, anche se defunto, come il Maresciallo Tito, si sia macchiato di crimini crudeli e contro l’umanità. Lo dobbiamo a tutte le vittime delle Foibe e ai loro familiari, lo dobbiamo agli Esuli e alle loro famiglie, lo dobbiamo, soprattutto, all’Italia».

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