martedì,Maggio 7 2024

Reggio Calabria, Calandruccio: «Manca un centro terapeutico per dare dignità ai malati di Alzheimer»

Grazie al supporto della Regione, lo specialista è riuscito a realizzare un centro diurno a Maropati che però è defilato dal punto di vista logistico

Reggio Calabria, Calandruccio: «Manca un centro terapeutico per dare dignità ai malati di Alzheimer»

I fili della memoria che si sgretolano giorno dopo giorno. Sono 165milioni nel mondo i malati di Alzheimer: un nuovo malato ogni sette secondi. Sono 45mila in Calabria. L’Azheimer rappresenta il 65% di tutte le demenze. Nonostante i dati e la diffusione della malattia e l’encomiabile apporto delle associazioni di volontariato a Reggio Calabria manca un presidio terapeutico specifico.

Problemi che si acuiscono con la pandemia. Come chiarisce Giuseppe Calandruccio, direttore del centro diurno Alzheimer di Maropati: «Le strutture sono chiuse in questo momento, per tutelare le famiglie che si trovano in gravi difficoltà. Una difficoltà che esiste al di là del momento contingente, perché in realtà a Reggio Calabri a non c’è un centro specializzato nella cura di questa patologia».

Attraverso il supporto della Regione Calabria anni lo specialista è riuscito a realizzare un centro diurno a Maropati che però è defilato dal punto di vista logistico. L’accesso è limitato all’area circoscritta sulla Piana. «Avrei voluto realizzarlo a Reggio Calabria – prosegue – perché è una città grande e ha bisogno di una struttura che possa accogliere i pazienti e dare sollievo alle famiglie che non hanno un riferimento preciso. Lavorando nel settore ricevo continuamente richieste di aiuto e di sostegno ma mi trovo in difficoltà nel dare suggerimenti perché la struttura manca. Manca un luogo in cui si possono effettuare le terapie di riabilitazione che nella fase precoce della malattia possono essere fondamentale e utili nel ritardare il decorso della malattia che è a carattere degenerativo.

Riuscire ad intervenire tempestivamente vuol dire: ritardare la malattia, riconsegnare al paziente una maggiore autonomia, dare alla famiglia sollievo perché il paziente viene accolto nei centri, quindi restituirlo in condizioni migliori e soprattutto dare dignità al paziente, alla malattia, dargli un po’ di libertà per sottrarlo al processo degenerativo che nel volgere di pochi mesi o anni può disintegrare la personalità del paziente che può perdere la sua identità. Con effetti devastanti per il paziente e per chi gli sta vicino.

Dare dignità ai pazienti e dare sollievo alle famiglie deve essere un obiettivo della città, non solo di noi medici. È un modo per restituire la dignità alla città, innalzare l’asticella del senso civico, se volgiamo che Reggio sia migliore.

Quali sono le difficoltà per la creazione di un centro a Reggio?

«C’è mancanza di interesse. Le location si possono individuar anche tra i beni confiscati. La città ha molte possibilità di individuare una struttura che possa andare bene, ma ci vuole la volontà di dedicarsi a questo progetto, la volontà di accoglierlo e di realizzarlo.  Ci sono dei riferimenti istituzionali a livello regionale che seguendo le linee guida si può cercare di fare un progetto aderente, ma anche a livello locale, comunale, si c’è la possibilità di accedere a questi progetti come pop metro. e poi ci sono strutture individuate, destinate a servizi sociali o ad altri scopi che attraverso un progetto specifico possono esser consegnate e portate avanti».

In mezzo poi ci sono i passaggi burocratici, ostacoli non di poco conto. «Per la mia esperienza ho trovato difficoltà. Fino ad oggi posso testimoniare che un centro diurno è utile perché c’è la possibilità di lavorare su un paziente in fase precoce con ottimi risultati. Ci sono dei test per stimolare le riserve cognitive del paziente ancora valide ecco perché è importante intervenire subito, quando queste risorse si esauriscono non ci sono più i presupposti per poter lavorare.

Si tratta di una malattia lunga che dura dagli otto ai 15 anni, si può scovare con l’ausilio degli esami strumentali come la risonanza ad alta definizione, la pet, la tomografia ad emissione di positroni o, a volte, col prelievo midollare per individuare gli accumuli neurofibillari  o amiloidi, dando poi la possibilità di intervenire dal punto di vista farmacologico».

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