mercoledì,Maggio 29 2024

Reggio, infarto scambiato per reflusso gastroesofageo. Salvato dopo intervento chirurgico urgente

LA LETTERA | La storia di un uomo raccontata dalla figlia: dai ritardi per avere un'ambulanza alla visita veloce con dimissioni. Poi il peggioramento e la lotta per la vita

Reggio, infarto scambiato per reflusso gastroesofageo. Salvato dopo intervento chirurgico urgente

Lettera firmata:
«Domenica 6 febbraio, 15 minuti prima delle 13, mattinata tranquilla giornata fredda ma serena, tutto procede con calma visto che non si lavora. Squilla il telefono, dall’altra parte la voce di mio padre che mi dice di accusare un dolore al petto. Il mio umore cambia, inizio a fargli qualche domanda del tipo: “da quanto tempo lo hai? Hai chiamato un medico? Perché non andiamo in pronto soccorso? Ci sono i medici che faranno i controlli del caso.” Così è stato.

Stranamente tra il recarsi al pronto soccorso, l’entrata e il controllo, tutto si è concluso in un lasso di tempo molto breve, fuori da ogni aspettativa, solitamente le attese sono molto più lunghe. Uscito da lì mio padre afferma: “tutto apposto, mi hanno detto che il problema viene dallo stomaco ed è un reflusso gastroesofageo, nulla di preoccupante”. Quell’unica dottoressa presente, la quale si occupava dell’accettazione, della visita e degli esami del caso, era stata velocissima, così veloce, da effettuare in maniera non del tutto accurata i controlli del caso, la mole di lavoro forse imponeva una tabella di marcia piuttosto galoppante… ma come si può velocizzare sulla salute della gente? Siamo forse noi punti incrociati ai ferri di una maglia, che se ne sbagli qualcuno, basta scucire e tornare indietro?

Scorre via quella domenica e con essa la sua nottata, inizia una nuova settimana. Lunedì, la cura a mio padre era stata prescritta e, un regime alimentare piuttosto rigido per i primi giorni giustificava quel fastidioso dolore che, anche se in minore entità continuava a persistere. Martedì, ore 3.15, fuori un fastidioso vento ed un freddo pungente. Il dolore al petto di mio padre inizia ad acutizzarsi in maniera esponenziale. La prima telefonata al 118 alla disperata ricerca di un medico risponde di portarlo noi in pronto soccorso, cosa impossibile anche perché avrebbe dovuto fare a piedi tre piani di scale con un dolore che iniziava davvero a destare serie preoccupazioni, quindi mia madre continua a chiedere l’intervento di un medico a domicilio per capire cosa stesse succedendo.

Ci contatta dopo un po’ di tempo, non so dire quanto ogni minuto che trascorreva pareva essere eterno, una dottoressa di turno alla guardia medica che per assurdo anche lei ci propone di portarlo in sede da lei affinché lo visiti, oltre il danno la beffa si direbbe in questi casi, la telefonata non finisce bene. Nuovamente la chiamata al 118 a questo punto mia madre inizia ad agitarsi parecchio e minaccia di chiamare i carabinieri se non avessero provveduto tempestivamente a mandare un’ambulanza, dall’altra parte della cornetta l’operatrice ci risponde che hanno solamente tre ambulanze in città, di cui due erano occupate ed una doveva essere sanificata perché aveva trasportato poco prima un paziente affetto da Covid, ma ovviamente la minaccia di denuncia avrà smosso qualcosa infatti ci viene detto che: “vediamo come possiamo fare”.

Il tempo continua a scorrere, il telefono squilla e ci viene riferito che un’ambulanza sarebbe arrivata e che ci avrebbe messo un po’ perché veniva da Scilla. Da lì in avanti ogni minuto inizia a diventare prezioso, all’arrivo del personale medico, il quadro appare chiaro, caricano mio padre in ambulanza e corrono verso il pronto soccorso dell’ospedale, trasmessi i risultati degli esami viene subito portato in reparto di cardiologia ed in sala operatoria. In tutto questo lasso di tempo l’orologio segna le 6.45. La voce di un medico chiama noi: “i parenti di…, è stato colpito da infarto adesso dobbiamo subito effettuare coronografia per vedere i danni provocati e se e come intervenire, appena avremo notizie più certe vi faremo sapere.”

Infarto! Parola che fino a questo punto non avevo osato nominare, parola muta e silenziosa che risuonava in testa e che nel momento stesso in cui è stata pronunciata ha gelato il mio cuore come fa il freddo d’inverno con l’acqua di un lago. Guardai fuori dalla finestra stava ormai facendo giorno e volsi al cielo i miei occhi. Papà ha subito due diversi interventi, a distanza di due giorni. Benedette siano le mani del chirurgo che si è occupato di lui e che lo ha strappato alla morte. A questo punto il mio racconto si interrompe e mi limito a delle considerazioni che vogliono essere voce, non solo mia ma di tutte quelle persone che si sono trovate a vivere una situazione come questa e affinché possano non ripetersi più di questi fatti. La sanità calabrese è martoriata da anni ormai, questo deve finire.

Reggio Calabria non può lasciare il carico di un pronto soccorso ad una sola persona perché è domenica, effettuando esami e quant’altro, comunque sia anch’egli magari dovrebbe effettuarne uno in più, nel caso di mio padre se lo avesse fatto non sarebbe andato incontro ad un infarto. Nel 2022 io non posso accettare che mi si venga detto al telefono che una città come Reggio Calabria disponga solo di tre ambulanze, questo va oltre la vergogna. Non mi sento nemmeno arrabbiata, ma delusa e quasi priva di speranze per la mia amata città sotto questo profilo. È come se sia la nostra intera sanità reggina e calabrese ad essere in terapia intensiva costantemente, attaccata a tanti microfili di seta che, per incurie, per danaro, per svariati motivi, si spezzino, ma questo non deve succedere perché un ospedale deve fare in modo di garantire la vita.

Il mio grazie particolare va a tutti i medici ed infermieri, che lavorano nel reparto di cardiologia UTIC del nostro ospedale, uomini che non si fermano, che non badano ad orari che mettono il loro cuore a disposizione mentre hanno tra le mani il cuore dei pazienti. A loro va il mio grazie personale e pubblico, affinché continuino a lavorare bene come fanno e affinché gli diano la possibilità di farlo, perché per poter effettuare il loro lavoro la gente che necessita che intervengano, nel loro reparto, deve arrivare viva!».

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