«Un macchinista non muore mai». Il ricordo commosso dei colleghi di Cicciù

«Un macchinista non muore mai, cambia solo deposito, non cambia mestiere».

Con queste parole i colleghi di Giuseppe Cicciù, morto a 51 anni alla guida del Frecciarossa deragliato giovedì scorso vicino a Lodi, hanno salutato per l’ultima volta quell’uomo che era riuscito a farsi spazio nel cuore di ognuno di loro. 

Un funerale intenso che ha lasciato un ricordo indelebile di Giuseppe, un giovane amato e stimato «per la sua lealtà, il suo sorriso, la sua generosità» e il lungo corteo di colleghi presenti lo ha dimostrato.

«Peppe era arrivato da Reggio Calabria per realizzare il suo sogno di diventare ferroviere come il padre».

La voce dei colleghi è rotta da lacrime e incredulità: «Ti parliamo come se fossi davanti a noi, come se fosse un incubo da cui svegliarsi, ma non è così: Dio ci ha privati della tua meravigliosa presenza, ma non del tuo ricordo; eri sempre alla ricerca dell’efficienza, ogni attività è importante, ma tu eri quello che faceva muovere il treno, eri quello che faceva gol; abbiamo perso un fratello, siamo tutti più soli».

Un ultimo saluto carico di tensione mista a rabbia perché, come ha ben sintetizzato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, attraverso don Giuseppe a cui ha affidato un messaggio in sua assenza, la moglie Paola e il figlio adolescente, seduti accanto alla madre della vittima, «sono troppo giovani per restare soli».

Rigoroso il silenzio dei vertici dell’azienda presenti come il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, e dei vertici di Ferrovie dello Stato Gianluigi Castelli e Gianfranco Battisti, Trenitalia Orazio Iacono e Rete Ferroviaria Italiana Maurizio Gentile. 

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