L’Università popolare di Reggio Calabria Uni.Pace dice no alla legge Zan

Lo scorso 12 maggio, si è svolta l’Ottava Commissione Consiliare che ha avuto come oggetto del dibattito il Disegno di legge Zan-Scalfarotto, alla quale ha partecipato l’associazione culturale “Università Popolare di Reggio Calabria – Uni.Pace”, ente di formazione che dal 2001 opera nella Città metropolitana di Reggio Calabria collaborando con Enti locali e Istituzioni scolastiche, per esprimere il proprio dissenso nei confronti del suddetto testo unificato in quanto viola i diritti dei genitori in merito alle scelte educative riguardanti i figli, viola la libertà di insegnamento e nasce dal pretesto di un’infondata emergenza nazionale.

«Nell’ambito dell’azione svolta all’interno delle istituzioni scolastiche – ha spiegato il presidente Maria Letizia Romeo – l’Uni.Pace ha sempre cercato di tutelare e sostenere i principi educativi che i genitori desideravano vedere rispettati, senza perdere di vista che qualunque dimensione educativa attenta deve tenere conto di forme d’accoglienza creative e positive nei confronti di posizioni e impostazioni educative diverse, pur nel rispetto del bagaglio valoriale di ogni famiglia. Essendo la mission dell’Associazione basata su valori cristiani e sugli insegnamenti di Gesù Cristo, l’Uni.Pace da sempre si è schierata dalla parte degli “ultimi” e di coloro che non avevano voce, condannando senza esitazione ogni forma di discriminazione. In questo ambito si ricorda che l’ente ha promosso progetti di servizio civile, coinvolgendo le scuole del territorio reggino, impiegando i volontari in attività per la prevenzione di bullismo, cyberbullismo e ogni forma di violenza e discriminazione».

Il presidente ha continuato dicendo che «proprio in virtù dell’esperienza maturata nel campo della formazione e dell’educazione, si ritiene che il T.u. Zan sia un pericolo per la libertà educativa sia dei genitori che dei docenti. Violazione dei diritti dei genitori in merito alle scelte educative riguardanti i figli: Diritti che sono riconosciuti dall’art. 30 della Costituzione, e dall’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, i quali sanciscono che vi è “diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai propri figli”. È logico che, prendendo in considerazione la visione antropologica su cui si basa questa legge, seppur non condivisa dalle famiglie, sarà comunque ritenuta obbligatoria nei percorsi educativi proposti nelle scuole, andando così a violare i diritti precedentemente illustrati.

Violazione della libertà di insegnamento: Tra le conseguenze dell’approvazione del t.u. Zan, si annovera una cospicua riduzione dell’autonomia didattica e della libera espressione culturale del docente: gli insegnati sarebbero chiamati ad astenersi dal manifestare opinioni contrarie alla teoria della fluidità del genere, a cui rimanda il termine “identità di genere” e, sarebbero costretti a partecipare all’organizzazione di “cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile” in occasione della “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, pur non condividendo i messaggi trasmessi agli studenti e senza poter manifestare il dissenso o discutere sull’argomento, senza rischiare un procedimento penale per aver manifestato pensieri omofobi secondo il DDL Zan. Tutto ciò viola l’art.33 della Costituzione secondo cui “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” che garantisce per l’appunto un insegnamento libero e funzionale, al fine di plasmare il senso critico necessario per gli obiettivi di formazione integrale dei discenti, sempre nell’ottica del rispetto e dello sviluppo democratico della società.

Infondata emergenza nazionale: Il disegno di legge Zan prende origine da una presunta emergenza nazionale con episodi di deprecabile violenza, secondo cui violenze e discriminazioni contro omosessuali sarebbero diffusissime.  Ciò però viene smentito dai dati forniti dalla Fundamental Rise Agency dell’Unione Europea che colloca l’Italia tra i Paesi più sicuri d’Europa per quanto riguarda concreti episodi di violenza, minacce e discriminazioni, in quanto sono già in vigore leggi nazionali che tutelano le persone da questi episodi. Nello specifico, l’Osservatorio della sicurezza contro gli atti discriminatori riporta una quarantina di segnalazioni per reati omotransfobici e di cui solo una parte di questi sono accertati. È doveroso precisare che anche un singolo episodio di violenza rappresenterebbe un grave atto che però è già punito con le leggi ad hoc e non giustifica l’emergenza sociale che la legge invoca come pretesto».

Detto questo, la Romeo ha sostenuto che «l’effettiva l’emergenza sociale che siamo costretti ad affrontare al giorno d’oggi e che riporta dati sconcertanti quali 200-300 morti al giorno, è la grave crisi pandemica da Covid-19: quello che i fautori del disegno di legge Zan invocano non è assolutamente uno stato di emergenza per cui non vi è motivo di approvare tale testo unificato».

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