Reggio, Marino: «No al welfare punitivo del Reddito di cittadinanza»

Durante questa campagna elettorale il Reddito di Cittadinanza è stato uno dei temi trattati da tutti i candidati dei vari partiti, «eppure nessuno ha proposto il superamento della grave esclusione delle persone condannate e delle loro famiglie da questa misura. Esclusione che è prevista dalla legge istitutiva del RdC e che oggi colpisce tantissime famiglie povere».

Ad affermarlo è il presidente dell’Associazione “Un mondo di mondi”, Giacomo Marino, secondo cui questa esclusione ha di fatto introdotto, «nel silenzio assordante di tutte le forze politiche e delle stesse Istituzioni, il principio del welfare punitivo che è in netto contrasto con quanto previsto dalla Costituzione e dal vigente ordinamento giudiziario».

La finalità della pena, secondo il dettato della nostra Costituzione – argomenta Marino – è quella di tendere all’inserimento della persona condannata attraverso tutte le misure previste e non alla sua esclusione definitiva. «E’ paradossale e molto grave che il condannato, dopo aver espiato la pena volta al suo reinserimento nella comunità, venga escluso per legge dagli strumenti previsti dall’ordinamento proprio per favorire l’inserimento sociale di coloro che sono a rischio di emarginazione».

D’altra parte per Marino l’esclusione dal RdC delle persone condannate è perfino in contrasto con la stessa norma che l’ha prevista. «Non si comprende per quale motivo debbano essere esclusi dal RdC le persone che dopo aver scontato una pena hanno bisogno di aiuto per reinserirsi nella società, evitando l’emarginazione ed il pericolo di recidiva. La sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento effettuata 24 anni fa, anche nella città di Reggio Calabria, istituita con il Decreto Legislativo nr 237 del 18 giugno 1998, è stata una misura molto simile all’attuale RdC, aveva le medesime finalità di contrasto all’esclusione sociale e alle diseguaglianze, ma le persone condannate, in coerenza con il nostro ordinamento, non venivano escluse».

Marino si domanda quindi cos’ è cambiato negli ultimi vent’anni?

«Le contraddizioni del legislatore purtroppo sono espressione diretta di un sentimento diffuso in una parte importante della popolazione, delle forze politiche e delle Istituzioni secondo il quale si ritiene giusto escludere le persone condannate per alcuni reati.  Si tratta di una concezione che vede la persona condannata o accusata di un reato come un cittadino di serie B, che non deve godere degli stessi diritti degli altri. Questa idea di società stravolge il vigente ordinamento costituzionale della pena e del diritto penale finalizzato all’ inclusione del condannato e di chi è accusato di un reato a favore di una visione basata su una strutturale esclusione di queste persone con la finalità di rendere non conveniente commettere dei reati. Questa visione, introdotta dalla legge che ha istituito il RdC, non solo non può funzionare, perché negando i diritti di chi ha sbagliato non si ottiene un maggior rispetto dei doveri, ma è pure molto pericolosa perché mette in crisi la legittimità e la credibilità dell’intero sistema giudiziario e la stessa coesione sociale e quindi potrebbe determinare effetti molto negativi».

Marino fa notare che negli ultimi mesi, con i controlli incrociati tra l’Inps ed il Ministero della Giustizia, moltissime famiglie povere con soggetti condannati hanno perso il RdC che costituiva la loro unica fonte di sostentamento. «Questo è accaduto mentre la crisi economica sta diventando sempre più grave soprattutto per i nuclei più poveri. L’esclusione di queste famiglie è già un fatto di grave discriminazione che potrebbe determinare non solo un conseguente incremento dei reati comuni, ma anche un regalo alle mafie facilitando le loro azioni di reclutamento e di controllo del territorio. Pertanto l’appello che rivolgiamo ai Parlamentari eletti è – conclude Giacomo Marino – di impegnarsi da subito a migliorare la legge del Reddito di Cittadinanza abrogando quella parte che esclude le persone condannate».

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