Reggio, dove l’autismo è una realtà con troppe barriere: servono i fatti

È stata una visita alla fondazione Marino per l’autismo a chiudere il tour della ministra per le disabilità Anna Maria Locatelli. Una visita in una giornata importante, quella nazionale per la consapevolezza sull’autismo. Un modo non per celebrare ma per ricordare quanto ancora sia in salita la strada per rendere la vita degli autistici e delle loro famiglie dignitosa.

Una prospettiva che, guardando la situazione attuale, non lascia ben sperare. Siamo ancora alla solidarietà e la vicinanza di facciata. Un’ipocrisia diffusa lontana anni luce dall’essere apprezzata da chi con l’autismo convive ogni giorno. Non chiedono contributi da «elemosina», non vogliono essere compatiti o commiserati. Vogliono strutture, terapie garantite e di qualità, prospettive future per i loro figli, un progetto di vita che sia dignitoso e che rispetti quella che ancora viene confusa con una patologia e, invece, è una condizione.

E le parole della ministra in tal senso sono state chiare: «Questa giornata, come spesso sentiamo dire le famiglie, in qualche modo non è che la celebrino. No, diventa una giornata che si chiama proprio della consapevolezza dell’autismo perché noi possiamo ogni giorno dell’anno cercare di migliorare, soprattutto dal punto di vista istituzionale, quello che possiamo fare anche per sensibilizzare tutti, a partire dei più piccolini ai grandi».

Alla ministra abbiamo chiesto cosa ne pensa delle gravi carenze strutturali. Dell’assenza quasi totale di centri specializzati pubblici che eroghino terapie adeguate, anche in virtù di numeri in costante crescita. «Questo è naturalmente un tema che è all’attenzione di Regione Calabria – ha detto la Locatelli – degli assessorati dedicati. Richiede anche ripensare, dopo tanti anni pregressi in cui magari i temi non sono stati tutti trattati, con una grande capacità di immaginare quel percorso di vita. Sempre perché anche le persone, i bambini, i ragazzi con autismo hanno bisogno sicuramente di interventi precoci, delle terapie ma poi diventano adulti e hanno bisogno di un accompagnamento sociale alla vita di tutti i giorni. Da fare ce n’è veramente tantissimo e bisogna iniziare un po’ a far chiarezza. Il primo passo credo sia quello di adottare un progetto di vita per ogni persona perché la parte sanitaria e sociosanitaria sociale, chi deve fare gli interventi, in che modo applicarli, dipende tutto da questo. E poi bisogna fare tanto lavoro perché a tutti i livelli istituzionali ci sia più raccordo perché tante famiglie lamentano il fatto che non si dialoga tra settori diversi, questo non va bene».

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