L’amore di madre libera i figli dalla ‘ndrangheta e indebolisce la criminalità mafiosa

«È sempre l’amore per i figli, la chiave di volta dei risultati che si conseguono con il progetto Liberi di Scegliere». È essenziale il ruolo delle madri nei percorsi di riscatto alternativi alla famiglia mafiosa di appartenenza di figli e figlie. L’esperienza, avviata a Reggio Calabria oltre dieci anni fa, adesso condotta a Catania, dove il giudice minorile Roberto Di Bella sta presiedendo il tribunale per i Minorenni, lo conferma.

Ci sono le donne e madri di ‘ndrangheta che restano accanto ai boss e li sostengono. Ma ci sono anche le donne che si ribellano e le madri che lottano rischiando la loro vita. Non ci sono, invece, figli di ‘ndrangheta ma ci sono bambini e giovani per i quali non si è fatto e non si fa abbastanza.

Senza questa perentoria assunzione di responsabilità collettiva, della famiglia e dello Stato che deve affiancare e agire, alcuna prospettiva di cambiamento e “salvezza” sarà mai concreta e perseguibile.

Il coraggio delle madri e quello dello Stato

«Tra Calabria e Sicilia oggi ci sono oltre 150 ragazzi coinvolti nei percorsi di Liberi di Scegliere. Sono circa 25 le mamme che hanno lasciato tutto per ricongiungersi con i figli, già trasferiti in un’altra località per nuovi percorsi di vita. Sono molto contento di quanto fatto fino adesso ma serve uno scatto del nostro Parlamento per lanciare un segnale più forte proprio alle madri. Il loro ruolo resta fondamentale per il recupero dei giovani. Non possiamo ignorare questo aspetto ma dobbiamo attenzionarlo e rafforzare gli strumenti.

Molte mamme, pur di strappare i figli a quel destino terribile, hanno rischiato e rischiano, aderendo ai nostri percorsi. Per questo è necessario dare continuità al progetto Liberi di Scegliere. Una stabilità che una legge nazionale, dopo il protocollo interministeriale finanziato però solo dalla Cei, potrebbe certamente assicurare», ha sottolineato ancora Roberto Di Bella.

Del ruolo delle madri nel progetto Liberi di Scegliere il giudice Roberto Di Bella ha acquisito consapevolezza fin dal principio. Al momento del suo insediamento presso il tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria nel 2011, la cronaca consegnava la storia drammatica della giovane testimone di giustizia di Rosarno, Maria Concetta Cacciola “suicidatasi” nel bagno di casa ingerendo acido.

Maria Concetta e Giuseppina

Trentuno anni, tre figli, indotta da bambina al matrimonio e poi, con il marito in carcere, imprigionata in casa a Rosarno. Dopo varie vicissitudini diventa testimone di giustizia ma poi viene costretta dalla famiglia, imparentata con i Bellocco, a ritrattare. Viene dai suoi stessi genitori, poi arrestati per istigazione al suicidio, colpita nel bene più caro che sono i figli e allora cede. Nuovamente imprigionata in casa ad attenderla c’è un destino atroce. Quello che aveva cercato di cambiare, testimoniando, tentando di smarcarsi e di salvare i figli da quella cappa mafiosa.

Intanto la cugina Giuseppina Pesce si trova esposta al medesimo rischio. Bisogna intervenire. Figlia, sorella e nipote di boss di una delle cosche più potenti della Calabria, anche lei sposa da bambina, giovane madre di tre figli e imprigionata in un matrimonio infelice con un marito violento. Dopo numerose vicissitudini e l’arresto, la collaborazione con gli inquirenti perché quei figli lontani e rimasti in quell’ambiente mafioso non sono al sicuro. Diventando collaboratrice di giustizia lei salva sé stessa e i suoi figli. Dopo essersi ribellata, è riuscita a restare viva e ad avere una nuova vita con i suoi figli. Una vita di libertà dalla ‘ndrangheta. Una libertà che è sua ma che è anche nostra libertà, a prescindere al nostro livello di consapevolezza.

«I motivi che mi hanno spinto a iniziare la collaborazione con la giustizia sono i miei figli». Questa la prima dichiarazione di Giuseppina riportata nel verbale. Pensando ai suoi figli, grazie all’incontro con la magistrata Alessandra Cerreti, oggi sostituta procuratrice della direzione distrettuale antimafia di Milano, Giuseppina ha deciso da che parte stare.  

L’amore di madre e la ribellione

Due storie emblematiche che raccontano del coraggio delle donne, in un mondo in cui la violenza mafiosa si intreccia con i retrogradi retaggi patriarcali. Donne che hanno scardinato tutto questo, che si sono ribellate, mosse dall’amore per i figli. Storie in cui essere madre ha salvato o almeno ha tentato di salvare anche la vita delle stesse donne e che certamente ha salvato quelle dei figli.

Giovani ma forti, con la loro ribellione, e ancora troppo spesso con il sacrificio della loro vita, hanno cambiato il destino dei loro figli. Li hanno salvati. Donne alle quali noi tutti dobbiamo tanto.

Le loro testimonianze, la loro collaborazione hanno fornito elementi essenziali agli inquirenti contribuendo ad inchieste che hanno indebolito la ‘ndrangheta. Seppure con livelli e percezioni diverse, la ‘ndrangheta è un’ombra sulla vita di tutte le persone libere. Essa mette a repentaglio il futuro di questa terra e attenta in ogni momento alla dignità e alla libertà di chi è rimasto, per scelta o per necessità, in Calabria.

Due storie miliari

Maria Concetta e Giuseppina, due donne, due storie miliari anche per la storia professionale del giudice Roberto Di Bella. Una storia professionale che da allora è stata contraddistinta da un impegno coraggioso e anche molto criticato per individuare nuovi percorsi poi confluiti in un protocollo interministeriale denominato appunto Liberi di Scegliere. Percorsi per creare alternative ai giovani che in famiglia non hanno conosciuto che la legge del sangue e della violenza. Giovani che, invece, hanno diritto di conoscere altro e poi di essere “Liberi di scegliere”.

Il giudizio della famiglia è presupposto ma poi diventa altra questione, qui rileva il negato diritto a chi sta crescendo e diventando adulto a un’alternativa al crimine. Garantirla equivale a prevenire la mafia e a salvare vite.

Nel futuro di questi figli, l’avvenire di questa terra

Lo Stato c’è ma dovrà esserci sempre di più e meglio. Resta, infatti, centrale il ruolo delle madri che nella famiglia mafiose, intrise di retaggi patriarcali, hanno il compito della cura e del consolidamento di un’educazione non “può” discostarsi da quel modello di predominanza maschile e paterna e di violenza. Lo Stato deve esserci e deve rimanere accanto quando quel modello deviante e deviato viene messo in discussione; quando la madre è disposta a mettersi in pericolo, a esporsi prima al pubblico ludibrio e poi anche al rischio di essere “eleminata”, come successo a Lea Garofalo nel 2009, raggiunta dalla ferocia mafiosa dopo avere garantito alla figlia Denise un futuro, una vita di libertà. «Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti», dice dal luogo segreto dove vive Denise, oggi una giovane donna.

Quando una madre osa scardinare ogni regola mafiosa e si rivolge allo Stato per essere protetta e aiutata, non deve essere lasciata sola. Il progetto Liberi di scegliere si rivolge ai quei figli di queste madri coraggiose e poi salva anche le madri stesse che scelgono di seguire i figli. Un circuito virtuoso che deve essere sostenuto e dal quale dipende, oggi, il futuro di tanti giovani – già da solo fondamentale – e domani anche il futuro di questa terra.  

Rosalba: amore e coraggio

«Rosalba, seguendo un copione ormai frusto, è stata accusata dal marito di avere fatto questa scelta perché voleva vendicarsi per i tradimenti subiti. Anche in paese si sono levate voci, scandalizzate: “La famiglia non si rovina… Non si mettono i figli contro i padri… Era gelosa del marito… Era depressa perché pensava a essere tradita dal marito!”. Depressione, esaurimento, frustrazione, gelosia. Quante parole inutili e squallide per il terrore di pronunciare le uniche due che hanno mosso la sua scelta: amore e coraggio. Per amore dei suoi figli, questa donna ha avuto la forza di rompere gli schemi di una vita già scritta, di un destino di carcere e morte che sembrava ineluttabile. E molte donne, che non hanno commentato la sua scelta ad alta voce, lo sanno. E forse un giorno, grazie al suo esempio, troveranno la forza di liberare anche le loro vite». Questo racconta Roberto Di Bella nel volume, scritto a quattro mani con Monica Zapelli, “Liberi di scegliere: la battaglia di un giudice minorile per liberare i ragazzi dalla ‘ndrangheta”.

I bambini calabresi e la storia delle madri

Amore e coraggio, altro che madri di ‘ndrangheta. Ci aiuta a capire questo universo così complesso anche lo scrittore originario di Africo, Gioacchino Criaco. Le madri di ‘ndrangheta in Anime nere le ha raccontate senza filtri, senza dimenticare però che le madri calabresi sono anche quelle dei gelsomini, donne che nei momenti più difficili di una società con tanti problemi come la nostra, indicano la strada da seguire.

«Sono loro l’elemento del cambiamento», sostiene Gioacchino Criaco che proprio alle madri che raccoglievano il gelsomino lungo le coste ioniche reggine, spaccandosi la schiena e lavorando in condizioni di sfruttamento, dedica il romanzo “Maligredi”. «Magiche a inventare favole, hanno provato a difenderci contro ogni cattiveria e, anche se non sempre di roso riuscite, hanno riempito la nostra vita di dolcezza. Alle madri calabresi, alle nostre madri di gelsomino».

Altro che madri di ‘ndrangheta. «Nascondevano il sudore sotto il profumo del gelsomino – racconta ancora Gioacchino Criaco – e dopo dodici ore di lavoro, sorridenti, si mettevano a pulire e cucinare, ad amare. Ecco, state attenti a parlare di bambini calabresi, se non conoscete la storia delle donne a cui sono appartenuti. E non date colpe alle madri calabresi, a volte i figli vengono sbagliati, nonostante il profumo del gelsomino».

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