NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI | Reggio, la storia di Ahmed: «Dall’Egitto alla Calabria per studiare e avere un futuro» – VIDEO

«Mi diplomerò presso l’istituto industriale Panella – Vallauri nel corso ad indirizzo Informatico. L’informatica è stata sempre una mia passione come anche il calcio che però adesso non posso più praticare. Tra lavoro e studio non ho più tempo. Adesso il mio obiettivo è diplomarmi e sono contento di aver potuto approfondire lo studio dell’informatica. Inizialmente il metodo diverso e la lingua hanno creato difficoltà che poi ho superato, riuscendo a imparare, a conoscere e ad approfondire. Sosterrò le prove scritte di italiano e di informatica e come prova orale presenterò un sito di e-commerce. Spero con tutto il cuore di fare bene».

L’arrivo a Reggio a 13 anni

Si prepara a sostenere gli esami di Stato a Reggio Calabria il giovane Ahmed Mohammed, quasi ventuno anni e sulle spalle una traversata in mare durata 13 giorni, quando di anni ne aveva soltanto 13 anni, in cui le paure più grandi sono state quelle di non toccare la terraferma e di affogare, non sapendo nuotare. Ma sulle spalle anche oltre dieci anni di lavoro e studio perché nel suo paese di provenienza, l’Egitto, andare a scuola costa. Fortunatamente quella terraferma è stata raggiunta e Ahmed è sbarcato a Reggio Calabria nel 2016 con centinaia di altri migranti anche di altre nazionalità.

L’accoglienza

Qui, in quanto minore non accompagnato, ad attenderlo l’accoglienza presso la comunità Papa Giovanni XXIII, il primo approccio alla lingua italiana e finalmente una scuola dove imparare e coltivare la sua passione per l’informatica. Nella città dello Stretto ha completato il percorso della scuola media presso l’istituto comprensivo Montalbetti Telesio e poi l’iscrizione all’istituto tecnico industriale Panella Vallauri dove adesso conseguirà il diploma.

Un quaderno e una penna

«Fin dall’arrivo a Reggio, ho avuto tanta voglia di fare e di imparare. Con un quaderno e una penna ho iniziato dalla lingua italiana presso la comunità Papà Giovanni XXIII, dove sono stato accolto bene. Lì sono stato preparato alla scuola, iniziando a imparare l’italiano. Anche a scuola i compagni mi hanno sempre accolto bene e aiutato. In Egitto andare a scuola ha un prezzo. Io vengo da Asyut. Per raggiungere il Nilo c’è un bel po’ di strada a piedi da fare. Mio padre ha un pezzo di terra e quando lo chiamano lavora come operaio. Mia madre è casalinga. Per frequentare la scuola, quindi, ho dovuto lavorare fin dall’età di 10 anni. Prima in un forno poi in un autolavaggio e in un supermercato».

Lavorare per studiare a 10 anni

«Ero per altro il primo figlio maschio, con due fratellini più piccoli e con una sorella maggiore. Ma le donne non lavoravano. Oggi la loro situazione sta un pò stanno cambiando. Ma c’è ancora molta strada da fare. Prima di partire, io dovevo lavorare anche per aiutare la mia famiglia. Poi all’età di dodici anni ho lasciato la mia casa. Ho lasciato la mia sorella più grande che oggi ha 22 anni, e due gemelli più piccoli che oggi hanno 14 anni. La stessa età che aveva anche un’altra sorella che ho perso tre anni fa. I miei hanno capito che andare via sarebbe stata per me l’unica occasione per avere un futuro», racconta Ahmed.

La partenza a 12 anni

«Mio padre ha venduto le mucche per darmi qualcosa per il viaggio. Ma non bastava e così prima di imbarcarmi ho trascorso un anno in Egitto, viaggiando e lavorando per raccogliere la somma necessaria, svariate migliaia di sterline egiziane. Lì circola l’idea che, una volta arrivati qui, tutto sia facile. Io posso dire che le difficoltà invece ci sono ma ci sono anche delle possibilità e l’opportunità di un futuro migliore», racconta ancora Ahmed.

Dolcezza e determinazione

Con gli occhi scuri e i boccoli neri, il suo essere e il suo fare in cui si condensano dolcezza e determinazione, Ahmed, ormai maggiorenne deve ancora lavorare non solo per mantenersi, visto che ora non sta più in comunità e vive in autonomia, ma anche per restare in Italia. Così le sue giornate, tra lavoro in cucina nel settore della ristorazione, sono davvero piene. È rimasta intatta e salda la sua voglia di andare avanti e di costruire il futuro.

«”Mangiare” i libri»

«La mia giornata è piena. Mi muovo in bici. La mattina sono a scuola. Nel pomeriggio ho qualche ora di tempo per studiare prima di andare a lavorare. Sono impegnato nel campo della ristorazione e mi piace. La sera spesso faccio tardi e durante il giorno non riesco a riposare. Poi ci sono la spesa e le altre responsabilità della vita in autonomia. Anche se il tempo non basta, mi do da fare. Sono sempre stato abituato a lavorare e ad avere responsabilità ma se guardo al bambino che ero, sento di essere molto cresciuto.

Credo che i libri vadano “mangiati”, nel senso di dover cogliere sempre a pieno ogni occasione e impegnarsi sempre per superare i propri limiti. Penso che ci siano tante persone che hanno e non apprezzano e altre che non hanno e che vogliono riscattarsi. Per questo io voglio impegnarmi, per raggiungere obiettivi e crescere. Ma nulla è possibile senza studio. Esso mi ha aperto la mente, dandomi gli strumenti per crearmi un futuro. Lo dico sempre ai miei fratelli rimasti in Egitto, quando li sento. È un modo per trasmettere a loro la mia esperienza», racconta Ahmed.

Il mare senza saper nuotare

Resta legato alla sua famiglia, Ahmed. Quando può la aiuta, come ha fatto sostenendo la sorella per i suoi studi in Egitto. Oggi sono lontani quei momenti duri del viaggio in mare.

13 giorni in mare aperto

«Il mare arriva dopo mille difficoltà ed è esso stesso un grande rischio. Abbiamo cambiato tre imbarcazioni durante i 13 giorni di traversata. Una era troppo piccola e un’altra aveva subito dei danni per il maltempo. Anche durante il trasbordo si rischiava di cadere in mare e affogare o di ustionarsi a contatto con le ventole dei motori. Ci davano un quarto di pane e mezzo bicchiere d’acqua al giorno. Ci trattavano come formiche, non come esseri umani. Così per 13 giorni, durante i quali vedevo solo il mare e mai la terraferma e pensavo di non avere più speranza. Toccare terra è stato più di quanto potessi immaginare».

«Mi sento libero»

«Una volta sopravvissuto, ho desiderato solo di studiare e andare avanti. Ed è quello che ho fatto. Oggi continuo ad avere delle responsabilità come da piccolo ma mi sento libero. Ho quasi tutto. Mi manca la mia famiglia che rimane tale anche se qui sto crescendo anche tra altre persone. Dopo il diploma vorrei fare dei corsi specializzati, accrescere il mio bagaglio di esperienze e magari aprire una partita iva e lavorare. Vorrebbe avere un permesso di soggiorno permanente e poi chiedere la cittadinanza italiana». Così conclude Ahmed che ormai a Reggio sta costruendo la sua vita, lontano dai pericoli che troppo presto ha conosciuto con la sua tenace voglia di imparare e di vivere.

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