martedì,Maggio 7 2024

Reggio, Castrizio e la musica greca al Centro Macrobiotico

Saffo, Ibico, Bruno Casile, ieri al Centro Macrobiotico Daniele Castrizio ha spaziato dall’antichità ad oggi mostrando il fil rouge che lega la musica greca antica a quella grecanica e ricordando la nostra identità

Reggio, Castrizio e la musica greca al Centro Macrobiotico

Anche la musica greca antica ha avuto la sua rivoluzione rock ed era da considerare il Jukebox del tempo. Per poi arrivare alle due strade sacra e profana del bizantino e giungere sino a noi, alla musica grecanica. Questo il percorso sapientemente illustrato dal professor Daniele Castrizio, ieri sera al Centro Macrobiotico di Reggio Calabria, con l’accompagnamento dei “canti” in greco realizzati a cappella dallo stesso, per mostrare che esiste un filo conduttore dalla musica greca a quella grecanica, e,
per questa via, ricordare la nostra identità, di greci di Calabria, ormai quasi e, purtroppo, dimenticata.

Saffo, il “rock” di Euripide e la sambuca di Ibico

Si fa presto a dire musica greca ma quanto ne sappiamo veramente? In pochi sanno, ad esempio, che «esiste un fil rouge che lega la musica greca antica a quella grecanica e che ci permette di guardare il mondo antico con un occhio nuovo» così ha esordito Daniele Castrizio, soffermandosi sull’importanza della metrica e sulla caratteristica del teatro greco antico che non era recitato bensì cantato.
«Basta pensare alle grandi poesie di Catullo o Saffo, questi immortali che piacciono anche ai ragazzi, la verità è che venivano accolti come se fossero dei cantautori … perché ogni poesia aveva una musica, come le hit di oggi. Tra l’altro, ci fu una rivoluzione rock anche nel mondo antico e fu fatta da un
certo Euripide, il tragediografo, alla fine del V secolo AC, che non era sopportato dalle persone di una certa età. Aristofane, ad esempio, diceva che le sue canzoni erano assolutamente stonate, con accordi improponibili, invece aveva fatto una grande rivoluzione» ha raccontato lo storico.

«Reggio ha avuto il primo musicologo della storia del mondo, ce ne parla Plutarco nel De Musica, si chiamava Glauco e nella sua opera era la prima volta che c’era un ragionamento teorico sulla musica, si trattava di un pitagorico, perché – ha spiegato ancora Castrizio facendo una digressione – Pitagora di Samo appena arrivato in Calabria cambiando per sempre la storia del mondo, aveva scoperto non dico le note ma i rapporti musicali, lo possiamo considerare il papà della musica».

Un’altra rivoluzione la fece «il grande poeta di Reggio Ibico, inventando la sambuca, una sorta di cetra “portatile”, da buon reggino, con un suono un pochino più acuto che piacque da morire – e grazie a una sua poesia, che sappiamo è stata composta – nell’area Griso La Boccetta, nel grande bosco sacro delle dee nell’antichità a Reggio, possiamo ricostruire la musica greca antica».

Tutto ciò cosa ci mostra dunque? «Che la musica greca antica non è vero che non esiste più. Il sistema di notazione musicale antico si chiama chirotonia ed è ancora oggi utilizzato nel canto della chiesa ortodossa – ha aggiunto il prof, ma non solo – grazie ai papiri, che hanno portato sino a noi la notazione sulle parole, abbiamo, parole, testo e musica e la possiamo arrangiare».

La più vecchia e antica canzone del mondo «è l’epitaffio di Seikilos figlio di Auterpe il quale lasciò il suo monumento funebre, una colonna con un testo poetico e le note, che mette in evidenza il concetto di morte nella Grecia antica, che era la fine di tutto, una concezione veramente pessimistica
dell’aldilà da cui si poteva uscire con l’unica cura possibile: la memoria» chiude Castrizio la prima parte dell’intervento, accompagnando con la lettura in italiano e in greco la poesia di Seikilos.

Le due strade della musica nel mondo bizantino

Arriviamo così al mondo bizantino greco-medievale, in cui, riprende lo storico «abbiamo due strade una più conosciuta, che è quella religiosa, per la quale basta andare in una chiesa ortodossa, e una profana che è più bella». Le due strade, poi negli ultimi secoli dell’Impero presero una «direzione di intellettualismo incredibile. La musica da strada, quella profana, diventò intellettuale, lunga e complessa, e quella religiosa ha proseguito nella tradizione. Non è cambiato molto in sostanza».

La musica grecanica di Bruno Casile

«Tornando a casa – ha ripreso Castrizio – non si può non ricordare Bruno Casile, poeta dell’area grecanica di Bova scoperto da Pasolini e scomparso da qualche anno, il quale, nonostante fosse un contadino aveva una grande consapevolezza di sé e andava ogni anno in Grecia per portare la voce dei greci di Calabria».
Il suo libro per la Electa ha un titolo evocativo che in italiano significa “Piccole luci nel buio” e rappresenta un po’ l’epoca attuale per i greci di Calabria, «perché ogni volta che muore un parlante c’è un pezzo di lingua che non tornerà mai più. Sono pochi i giovani che si stanno accostando a questa lingua, che è bella ma è inutile, perché se vuoi parlare con uno di Bova puoi parlare in dialetto o in italiano, se parli con un greco di Atene non ti capisce per cui è una lingua che bisogna studiare per interesse culturale, per sapere chi siamo». Il dialetto «quello antico non il nostro “dialano” ha lo stesso schema di costruzione grammaticale del greco, non ha il futuro, ad esempio, come il greco, conoscendo il dialetto si può arrivare alla lingua greca» ha aggiunto il prof tributando la memoria di Casile con aneddoti e cantando “Ego ce to
fengari”, che racconta del bellissimo dialogo tra un pastore e la Luna.

Castrizio: «Noi siamo greci di Calabria»

Aldilà dei “nomignoli”, con cui i reggini hanno sempre chiamato i grecanici, come “paddechi” o “parpatuli”, ha concluso Castrizio, «se noi di Reggio non capiamo che siamo grecanici è finita. Anche se non parliamo il greco siamo grecanici, abbiamo le stesse caratteristiche, la filoxenia, l’amore per la pace, l’incapacità a bisticciarci, perché andiamo subito alle cose estreme, tipicamente greco».

C’è una cosa «della quale dobbiamo andare fieri e che bisogna raccontare ai ragazzi soprattutto – conclude il prof – Reggio è stata per legge la prima città che ha impedito l’uso delle armi all’interno della cinta muraria.
Mentre gli americani se non hanno tre pistole non si muovono da casa, a Reggio la legge di Caronda nel 530 a.C. impediva ai reggini di camminare armati. Questo per capire che cosa significa essere greci, la nostra umanità».

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