Carcere Reggio, la piantumazione di un ulivo per ricordare Paolo Borsellino e la sua scorta – VIDEO

La piantumazione di un ulivo, donato da Calabria Verde, nel giardino realizzato dalle persone detenute all’interno dell’istituto penitenziario Giuseppe Panzera di Reggio Calabria. Un simbolo della vita che si rinnova e anche un segno di pace in un luogo in cui attraverso la restrizione della libertà personale può farsi largo il riscatto di un’esistenza.

Così l’associazione culturale per il Bene Sociale Biesse, in collaborazione con Calabria Verde, azienda regionale per la forestazione e per le politiche della montagna, e con l’amministrazione penitenziaria reggina ha voluto ricordare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Agostino Catalano e dagli agenti Emanuela Loi (la prima donna componente di una scorta a essere morta in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, uccisi 31 anni fa in un agguato mafioso. A quell’infernale esplosione del 19 luglio 1992 in via D’Amelio a Palermo, consumatasi sotto la casa della madre del giudice, sopravvisse solo l’agente Antonino Vullo.

Essa avvenne meno di due mesi dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui rimasero uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Una scia di sangue che non ha risparmiato la Calabria. Nell’estate del 1991, il 9 agosto, era stato assassinato discuterle, il giudice Antonino Scopelliti. A settembre avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa nel giudizio di appello avverso le condanne seguite al Maxiprocesso di Palermo intessuto da Falcone e Borsellino.

Per ricordare il sacrificio di Borsellino, della sua scorta, e nel loro esempio tutti i servitori dello Stato, la piantumazione dell’ulivo, a cura di due persone detenute, e l’apposizione di una targa ricordo. Il tutto sugellato sugellate dalla benedizione dell’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, Fortunato Morrone, alla presenza delle massime cariche istituzionali.

Ulivo in segno di pace e speranza


«La memoria come impegno quotidiano e seme di speranza: ecco perché abbiamo voluto ricordare Paolo Borsellino e la sua scorta con questo gesto carico di significato, compiuto in un luogo dove la vita può rinnovarsi riscoprendo il valore della legalità. Non solo la targa e l’ulivo, grazie alla sensibilità di Giuseppe Oliva e di Domenico Antonio Mileto, rispettivamente direttore generale e responsabile dei distretti di Calabria Verde, ma anche il dono di una foto di Paolo Borsellino con un suo pensiero che ci è sembrato appropriato per un luogo di detenzione e soprattutto di rieducazione. “Si educa con quello che si dice, molto di più con quello che si fa, ancor di più con quello che si è”». Così Bruna Siviglia, presidente dell’associazione Biesse di Reggio Calabria.

Un luogo di memoria

«In questo penitenziario in cui sono reclusi anche detenuti di alta sicurezza, dunque condannati per reati di mafia, riteniamo questo momento altamente simbolico e qualificante. Anche Paolo Borsellino ci ha insegnato che la criminalità mafiosa si combatte anche con una rivoluzione e culturale che solleciti le coscienze e inneschi il cambiamento. Un cammino che induca a disdegnare il compromesso per godere del profumo della libertà. È nostra intenzione istituzionalizzare questo momento. Ne abbiamo già parlato io e la presidente Siviglia. Ed è anche nostra intenzione rendere questo un luogo di memoria permanente in cui accogliere anche le scuole». Così il direttore degli istituti penitenziari Giuseppe Panzera e Arghillà, Giuseppe Carrà.

Un ricordo che fa riflettere

«Doveroso ricordare, soprattutto in questo luogo, Paolo Borsellino e gli altri servitori dello Stato, vittime delle strage di via D’Amelio. Un’emozione intensa che tuttavia mi fa riflettere anche alla luce di certe tendenze legislative che sembrano non fare tesoro del loro sacrificio e del loro impegno. Credo che sia necessario oggi più che mai restare uniti nei valori che contano come quelli che oggi stiamo condividendo». Così il sindaco metropolitano ff di Reggio Calabria, Carmelo Versace.

«Avete scelto l’ulivo che è un segno di pace, valore che è somma virtù di una comunità. Dunque possa questa benedizione guidarvi su una strada che costruisca sempre la pace, seguendo le orme che sono state tracciate anche da Paolo Borsellino», ha sottolineato l‘arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, Fortunato Morrone.

Le autorità presenti di sono avvicendate per rendere il loro omaggio. Ha concluso il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.

La memoria dei valori

 
«Ricordare Paolo Borsellino e la sua scorta non deve essere in mero atto celebrativo. La memoria può e deve essere attiva e foriera di un impegno quotidiano e anche futuro. Ricordare la loro dedizione equivale a fare tesoro dei valori essenziali che hanno difeso fino all’estremo sacrificio e di cui la consapevolezza è necessaria. Ricordarlo qui in stesso luogo, in cui tutto può ricominciare alla luce di valori smarriti e ritrovati, assume una valenza ancora più profonda. Qui si può acquisire o riacquisire la consapevolezza della necessità di vivere e operare nella legalità. Inoltre proprio Reggio Calabria è legata al processo ‘Ndrangheta stragista che indaga proprio il contesto in cui maturarono anche le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Dunque questo tributo è ancora più doveroso». Così ha concluso il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.


19 luglio 1992

Paolo Borsellino se n’è andato con la consapevolezza di non potere completare il prezioso e necessario lavoro cominciato con il collega Giovanni Falcone, ucciso meno di due mesi prima. Per questo aveva fretta.
Solo sette mesi prima la fine del maxiprocesso di Palermo per crimini di mafia. Il processo penale più imponente di sempre, 460 imputati, istruito con Falcone nella prima metà degli anni Ottanta. Quel giudizio per delitti di mafia iniziò il 10 febbraio 1986 e terminò il 30 gennaio 1992, con la conferma in Cassazione di 19 ergastoli e di oltre 2600 anni complessivi di reclusione.

Solo sette giorni dopo – il 26 luglio 1992 – l’ultimo volo della giovane Rita Atria, non sopravvissuta all’omicidio di Paolo Borsellino di cui, dopo una vita di paura, era riuscita a fidarsi.

I processi e la verità incompleta


Dopo quattro processi, e forse un quinto all’orizzonte, decine di condanne anche all’ergastolo, quell’attentato di 31 anni fa ancora riserva dubbi, contraddizioni, depistaggi e persone senza volto che accanto a Cosa Nostra vollero quella strage.

Anche questo delitto si annida nella controversa trattativa Stato – Mafia e lascia irrisolti misteri come quello della sua agenda rossamai più ritrovata e divenuta un simbolo di quanto ancora ci sia da fare per stanare questa e le tante, troppe verità ancora taciute e nascoste in questo paese.

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