giovedì,Maggio 9 2024

Paolo Borsellino, il ricordo di un impegno che ancora oggi è di esempio e ispirazione

Con Giovanni Falcone nel pool antimafia di Palermo che istruì il Maxiprocesso. Alle condanne Cosa Nostra reagì con le stragi di cui quest’anno ricorre il trentennale

Paolo Borsellino, il ricordo di un impegno che ancora oggi è di esempio e ispirazione

«Se la gioventù le negherà il consenso, anche la mafia svanirà come un incubo», diceva Paolo Borsellino dedicando il suo pensiero alle giovani generazioni. A esse con la sua opera di contrasto alle mafie ha reso un servizio di straordinaria importanza, insieme a Giovanni Falcone e alle tante persone che non si sono sottratte al proprio dovere anche al costo della vita. Un monito impresso sulla panchina inaugurata ieri a Reggio Calabria, collocata accanto a tante scuole e nella zona di piazza Castello, arricchitasi così di un nuovo seme di memoria. Una panchina verde che completa così il Tricolore con quella bianca dedicata ad Antonio Gramsci il 25 aprile dello scorso anno e a quella rossa contro la violenza sulle donne.

Il trentennale delle stragi 1992-2022

Continua a decantare il trentennale di stragi 1992-2022 che oggi richiama alla memoria il giudice siciliano Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992, da un’autobomba esplosa sotto casa della madre, in via D’Amelio a Palermo. Con lui morì la scorta composta dal capo Agostino Catalano e dagli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. A quella terribile deflagrazione sopravvisse solo l’agente Antonino Vullo.

La vendetta di Cosa Nostra

Meno di due mesi prima, la strage di Capaci del 23 maggio 1992 che aveva spezzato la vita dell’amico e collega Giovanni Falcone, morto insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Un momento di non ritorno che fu subito chiaro a Paolo Borsellino, quando disse: «Non c’è più tempo». Non c’era più tempo da perdere per cercare di capire chi avesse voluto ed eseguire quella strage; lui non aveva molto tempo per finire il lavoro iniziato con Giovanni Falcone.

Cosa nostra reagiva, affogando nel sangue, coloro che avevano avviato la dura e decisiva azione di contrasto dello Stato cristallizzata nella sentenza del Maxiprocesso di Palermo, confermata in Cassazione proprio nel gennaio di quell’anno. Gli ergastoli, tra cui quello di Totò Riina, principale responsabile delle stragi del 1992 e di altre decine di omicidi, erano 19, oltre 2600 anni complessivi di reclusione comminati. Nel gennaio del 1992 si era, infatti, concluso il maxiprocesso di Palermo per crimini di mafia, che lui e Falcone avevano istruito nella prima metà degli anni Ottanta. Il processo penale più imponente di sempre.

Il ricordo delle stragi e la memoria dell’impegno

Un trentennale in cui si ricordano anche la vita e il servizio reso per una società libera dalle mafie e dunque più giusta. Un’occasione per ribadire la centralità del metodo di contrasto messo a punto da magistrati come Borsellino e Falcone, in quella che fu la straordinaria esperienza del pool antimafia di Palermo guidato da Rocco Chinnici, prima che fosse assassinato il 29 luglio del 1983, e dal successore Antonino Caponnetto. Ne facevano parte, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Fu quel pool a istruire il Maxiprocesso contro Cosa Nostra. Un lavoro imponente, condiviso con Falcone anche quando, nel 1985 furono mandati con le famiglie sull’isola di Asinara, in Sardegna, per motivi di sicurezza. Quei faldoni su cui lavorarono sarebbero poi stati inviati nell’estate del 1991 a Campo Calabro, nel reggino, all’indirizzo di Antonino Scopelliti, sostituto procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, che lavorava al rigetto dei ricorsi avverso le condanne emesse in appello nel maxiprocesso di Palermo. Quella stessa estate del 1991, il 9 agosto, prima che potesse discuterle, il giudice Antonino Scopelliti fu assassinato.

Le persone e le storie

Tante storie si intrecciano in questo trentennale e tra queste anche quella della giovane testimone di giustizia di Partanna, Rita Atria, non sopravvissuta all’omicidio di Paolo Borsellino di cui, dopo una vita di paura, era riuscita a fidarsi. A una settimana di distanza dalla strage di Via D’Amelio, il suo corpo senza vita fu trovato sul marciapiede davanti al palazzo sito sul viale Amelia a Roma, in cui era stata trasferita per motivi di sicurezza. L’ipotesi subito accreditata fu quella del suicidio, ma adesso l’associazione antimafie intitolata alla sua memora intitolata e sua sorella Anna Maria Rita, hanno chiesto la riapertura delle indagini.

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