sabato,Maggio 4 2024

Piazza De Nava avanti tutta, il Tribunale di Reggio rigetta l’istanza del Comitato civico

Il presidente della Fondazione Mediterranea Vincenzo Vitale: «È la vittoria della burocrazia che avalla scelte eticamente ed esteticamente sbagliate»

Piazza De Nava avanti tutta, il Tribunale di Reggio rigetta l’istanza del Comitato civico

Il Giudice del Tribunale Civile ha rigettato l’istanza presentata dal Comitato Civico De Nava, a nome delle associazioni e delle persone fisiche aderenti, da Legambiente, dalle Fondazioni Mediterranea, Lamberti e Tripodi, dalla Società Scientifica dei Territorialisti, e a titolo personale anche da Pasquale Amato, Eduardo Lamberti Castronuovo, Vincenzo Vitale e Alberto Ziparo, tesa alla restitutio in integrum di piazza De Nava, con la motivazione di non avere la competenza, spettante al Tribunale Amministrativo Regionale.

«Alle sentenze ci si adegua e ai magistrati deve andare il nostro rispetto, ma alcune considerazioni è doveroso farle – si legge in una nota della Fondazione Mediterranea – Il Tribunale Civile non è entrato nel merito delle richieste, che non sono state respinte perché ritenute fantasiose e prive di fondamento, ritenendo che tutta la questione fosse di natura amministrativa e non civilistica. Mentre i ricorrenti avevano posto il tema della violazione dei diritti soggettivi del cittadino, che non aveva potuto avere alcuna voce in capitolo sulla privazione di un bene storico cui era stato sottoposto, il magistrato si è dichiarato incompetente a decidere sulla tutela dei diritti della cittadinanza».

«La stessa linea era stata seguita dal Ministero della Cultura, che non è voluto entrare nel merito della questione, ricalcata dal soprintendente Fabrizio Sudano che, sollecitato a esprimere un giudizio etico ed estetico sul progetto della nuova piazza, ebbe pilatescamente a dire che “le carte erano a posto”. Le istanze della cittadinanza, i suoi diritti negati e il poderoso vulnus democratico derubricati a pratica amministrativa: così il Ministero, sia versione Franceschini che Sangiuliano, così la Soprintendenza e così il Tribunale Civile. È la vittoria della burocrazia che avalla scelte eticamente ed esteticamente sbagliate sol perché formalmente corrette in base ai regolamenti vigenti. Nella migliore delle ipotesi, escludendo interessi di altro tipo, nessun colpo d’ala, nessuna valutazione storica o identitaria o artistica, solo uno sterile e incolto appiattimento su procedure e “carte a posto”».   

«Vero è che sono pendenti alcuni procedimenti penali per la demolizione effettuata, ma con i tempi della giustizia italiana gli eventuali reati commessi finiranno prescritti o la sentenza giungerà quando non ci sarà più nulla da fare dal punto di vista urbanistico. Insomma ormai dobbiamo accettare la realtà che si è determinata: la storica e identitaria piazza la potremo vedere solo nelle foto d’epoca o nei nostri ricordi, sostituita come sarà da un non-luogo senza storia né memoria».

«Come si è potuti arrivare alla distruzione della memoria storica di un lembo della città? In origine vi sono stati i poderosi interessi dei progettisti, tutti legittimi fino a dimostrazione contraria ma certamente non in linea con il maggiore interesse della collettività. Questi interessi sono stati assecondati da una certa politica incolta, incapace di giudicare e prona ai desiderata del potere amministrativo. Un’altra parte della politica, tranne qualche sparuta eccezione, non c’era e se c’era dormiva: non ti disturbo oggi, non mi disturberai domani».

«Una responsabilità non marginale è da attribuire a una certa “cultura” reggina che, sempre alla ricerca di appoggi e finanziamenti, anche escludendo alcuni ben identificati casi di palesi e specifici interessi, generalmente non si è voluta mettere contro il Palazzo, giustificando la sua posizione con la teorizzazione di un improbabile “diritto al silenzio”. Diritto che non si ha problemi a riconoscere al comune cittadino ma che certamente non dovrebbe far parte del bagaglio dei diritti di che si vuol definire intellettuale, che al contrario ha il preciso dovere di esprimere la propria opinione quando richiesto di farlo».

«Insomma, oggi, con la pilatesca decisone del Tribunale Civile, si chiude una delle più vergognose pagine della storia cittadina: i segni della miseria morale e intellettuale di una parte della “cultura” reggina rimarranno a imperituro suo ricordo sul territorio» conclude la Fondazione.  

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