Diritti Lgbt a Reggio, una tutela legale in più con la rete Lenford – VIDEO

«Abbiamo sede a Bergamo, vogliamo incrementare la nostra presenza in tutta Italia e anche qui in Calabria. È di Reggio al momento la nostra unica socia e, dunque, il nostro obiettivo è quello di creare la rete di professionisti e professioniste impegnati sulla tutela dei diritti delle comunità Lgbti+ anche in questa regione».

Lo dichiara Pasqua Manfredi, vicepresidente della rete Lenford. L’associazione arriva a Reggio Calabria, in occasione del primo convegno nazionale promosso in questa regione, e lancia la sua sfida nella città dello Stretto. Qui da alcuni mesi è già attivo il centro antidiscriminazioni. «Domani incontreremo Arcigay e Agedo che operano da anni sul territorio per fare rete anche con loro», ha dichiarato.

Competenze e strumenti da condividere


La Rete Lenford – Avvocatura per i diritti Lgbti+ è un’associazione di promozione sociale nata nel 2007. È costituita da avvocate, avvocati, praticanti, giuriste e giuristi, studentesse, studenti e soggetti di comprovata esperienza o competenza in materie Lgbti+.
È intitolata alla memoria di Harvey Lenford, attivista giamaicano impegnato in favore dei diritti delle persone sieropositive, barbaramente ucciso nel 2005 perché omosessuale.

La rete muove i suoi primi passi anche nella nostra regione. «Registriamo la necessità di generare expertise in materia a tutte le latitudini nel nostro Paese e sopratutto in un territorio vasto come la Calabria. Ci proponiamo di promuovere il senso di un’avvocatura al servizio delle comunità Lgbti+», ha sottolineato Maurizio Di Masi, ricercatore di Diritto Privato presso l’università di Perugia. È stato lui a moderare il convegno intitolato “Il benessere psicofisico delle persone Lgbti+. Strumenti, abusi, tutele”, ospitato nella sala Francesco Perri di palazzo Alvaro sede della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

Il percorso di affermazione dei diritti

Il primo a salutare è stato il presidente della rete Lenford, Vincenzo Miri, poi il sindaco metropolitano ff, Carmelo Versace. «Occasioni come questo convegno sono utili per interrogarsi e capire come poter effettivamente progredire come Paese nel riconoscimento di libertà a chi ancora subisce discriminazioni. Un percorso che impone scelte che possono essere anche impopolari ma che devono essere compiute per garantire a tutti pieni diritti», ha sottolineato il sindaco metropolitano ff Versace.


Dopo i saluti della consigliera di Parità della Città Metropolitana, Paola Carbone, dell’avvocata Antonella Occhiuto, in rappresentanza del consiglio dell’ordine reggino, della presidente del comitato Pari opportunità del consiglio dell’ordine, Saveria Cusumano, dell’avvocata Giuliana Barberi in rappresentanza della rete dei comitati Pari Opportunità della Calabria, i lavori sono entrati nel vivo.

Da remoto è intervenuto Luca Rollè, Professore associato di Psicologia dinamica – università di Torino, in presenza gli altri.

A scuola l’identità Alias

«L’obiettivo della rete è quello di creare cultura e portare all’interno dei tribunali buone pratiche per quanto riguarda la lotta alla discriminazione nei confronti delle persone Lgbti+. La sensibilizzazione passa anche attraverso la conoscenza di strumenti, di buone prassi da promuovere e pure di quelle cattive da contrastare. Tra le buone prassi c’è senz’altro il regolamento per l’attivazione dell’identità Alias nell’ambito della carriera scolastica.

Si tratta di una possibilità in più offerta a studentesse e studenti, che si stiano interrogando sulla propria identità di genere, per vivere il periodo scolastico con un nome, anche diverso da quello anagrafico, che sentano a loro più affine. Essere chiamate e chiamati per come desiderano crea un ambiente di maggiore tranquillità. Un’identità alias che non incide, ovviamente, sui dati anagrafici ma che vale solo all’interno delle mura scolastiche. Tra le cattive prassi, invece, ci sono sicuramente le terapie riparative», ha spiegato l’avvocato Niccolò Angelini, socio di Rete Lenford.

Le terapie riparative

«Le terapie riparative possono essere di natura medica, psicologica e religiosa. Esse mirano a modificare e a reprimere un certo orientamento sessuale e una certa identità di genere. Purtroppo in alcuni Stati, tra cui l‘Italia, non essendoci un divieto esplicito, sono ancora legali. Ciò nonostante molti studi abbiano dimostrato che le terapie riparative piuttosto che favorire la crescita delle persone ne ledano i diritti fondamentali. L’impegno della rete è quello di sensibilizzare e di contribuire a far riconoscere la necessità di vietare queste terapie», ha spiegato Micol Ferrario, assegnista di ricerca dell’università Bocconi.

La tutela risarcitoria da sola non basta


«Il risarcimento danni è certamente una tutela per la persona Lgbti+ ma non può essere ritenuta sufficiente. Non può bastare, per quanto incisiva, a tutelare pienamente il diritto leso. La violazione è molto più profonda per la sofferenza causata dalla paura, dalle discriminazioni subite in silenzio in tutti gli ambiti, da quello familiare a quello professionale. Il rilievo delle questioni in gioco emerge da tutte le risoluzioni e le decisioni assunte anche dall’Unione Europea.

Occorre, dunque, anche esserci come gruppo di pressione credibile, che operi con gratuità e spirito progettuale e dialogante. Esserci anche in termini di presenza legislativa, con provvedimenti ormai indifferibili che devono colmare un vuoto di tutela. E ancora, altrettanto necessario è l’intervento sociale con l’articolazione di centri di accoglienza e di sostegno che devono essere al passo con le esigenze sempre nuove perchè le discriminazioni sono ancora tante». Così ha concluso Francesca Panuccio, professoressa associata di diritto privato presso l’università di Messina.

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