Reggio, il comandante Gaetano Marrari Giusto tra le Nazioni?

«Le attestazioni di affetto e di stima delle persone internate a Ferramonti durante la Seconda Guerra Mondiale che mio nonno Gaetano Marrari ha ricevuto nell’arco della sua vita e oltre per lo spirito di umanità con cui ha comandato il campo non necessitano di ulteriori crismi. A rivolgerle a lui, e poi a noi familiari, sono state proprio le persone internate che non lo hanno mai dimenticato.

Questo per noi è già un’eredità ricchissime e inestimabile. Tuttavia, solo per amore di verità, ci chiediamo perché nonostante una lettera inviata nel 1984 dal dipartimento dei Giusti dello Yad Vashem in cui si annunciava l’inserimento di mio nonno Gaetano Marrari tra i Giusti tra le Nazioni, il suo nome non compaia nell’albo».

A parlare con la pacatezza che la contraddistingue è la nipote del comandante Gaetano Marrari, Nunzia Rita Rizzi Lupis, figlia di Maria Cristina Marrari Rizzi che instancabilmente ha raccontato la storia di suo padre passando poi il testimone alla figlia.

La comunicazione dello Yad Vashem

«Your name wil be joined to those who, at considerable risk to themselves, helped Jews in distress». Così scrive Mordecai Paldeil, direttore del dipartimento dei Giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme in una missiva datata 21 giugno 1984. La lettera era stata inviata a Gaetano Marrari all’indirizzo di via De Nava dove ha vissuto. In essa si richiama l’aiuto prestato agli ebrei durante l’olocausto  – «for the help extended to Jews during the Holocaust period» – e si congratula annunciando l’inserimento del suo nome tra coloro che a rischio della loro vita li avevano aiutati.

«In forza di questa missiva siamo stati a lungo convinti che mio nonno fosse anche formalmente stato riconosciuto come Giusto tra le nazioni. Tuttavia quando abbiamo cercato il nome di Gaetano Marrari nell’albo dei Giusti, non lo abbiamo trovato. Ancora oggi non ci spieghiamo il perchè, alla luce di quella missiva ricevuta e che ancora conserviamo. E anche alla luce del plauso espresso anche da Emanuele Pacifici in una missiva a mio nonno del 1987.

Che nella vita e nella storia fosse stato un Giusto lo abbiamo sempre saputo. Coloro che sono stati testimoni diretti lo hanno a loro volta sempre testimoniato e raccontato. E così ha continuato a fare mia madre e adesso mi impegno a fare io. Noi continueremo a ricordare e a condividere questa nostra storia familiare che ha incrociato una storia molto più grande di noi oltre che molto drammatica. Questo non è in discussione. Vorremmo però sapere e capire», Così prosegue la nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis che dallo scorso anno ha deciso di iniziare a scrivere per avere qualche risposta.

Le richieste di chiarimenti dei familiari

«Centinaia di lettere – così lo scorso 8 settembre così Nunzia Rita Rizzi Lupis ha scritto all’Ufficio Consolare di Roma – testimoniano la grande umanità di mio nonno e il suo coraggio. In particolare una del Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane esprime viva gratitudine verso il Maresciallo “per il comportamento ispirato ad umana solidarietà”. Un’altra del 1984, inviata dal Dipartimento per i Giusti dello Yad Vashem, dichiara di averlo designato come “Giusto”. Io ho notato, però, che il suo nome non compare nell’apposito elenco ufficiale.

Da diversi anni chiedo a più persone di darmi una conferma di quanto comunicato a suo tempo. Fino ad oggi, però, non ho purtroppo ricevuto alcuna notizia. Mia madre è stata testimone diretta di Ferramonti, perché ha vissuto nel Campo con tutta la sua famiglia e, venuta a mancare tre anni fa, non ha potuto avere la risposta che cercava insieme a me. Io adesso, non più in giovane età, desidererei lasciare ai miei figli e ai miei nipoti qualche certezza». La nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis non si è fermata qui. Nei mesi successivi ha scritto anche all’Archivio storico della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e all’Ufficio italiano dell’Infrastruttura europea per la ricerca sull’Olocausto. Attende ancora risposte.

«Abbiamo condiviso con nonno, fino a quando è stato in vita e poi attraverso l’appassionato percorso di testimonianza intrapreso da mia madre, la sua esperienza di comandante del campo di Ferramonti di Tarsia. Le persone ex internate hanno continuato a scriverci tenendo viva la loro e la nostra memoria. Un’eredità di umanità che custodiamo e ci impegniamo a tramandare ancora e che resta integra, a prescindere. Dunque, per solo amore di verità, chiediamo di sapere senza pretesa alcuna». Così conclude la nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis.

Gaetano Marrari

«Nato nel 1881 da Fortunato Marrari (Reggio Calabria 1831 – 1987), commerciante di tessuti con uno storico negozio in corso Garibaldi a Reggio Calabria, e Rosaria Di Pietro. Arruolatosi volontario nell’Esercito all’età di 19 anni, partecipò alla guerra italo-turca del 1911 e alla campagna di Libia dal 1913. Sul fronte italo-austriaco, durante la Prima Guerra Mondiale, fu impegnato nel 1915. Nel 1919, finita la guerra, fu nominato agente investigativo nell’Arma dei Carabinieri diventando poi agente di Pubblica Sicurezza nel 1925 operando a Roma.

Gaetano Marrari, intanto promosso al grado di maresciallo, finita la Seconda Guerra Mondiale, chiese di poter tornare in Calabria assieme alla propria famiglia. Ottenuto il trasferimento, con la nomina di comandante del Corpo di Pubblica Sicurezza nel campo di internamento di Ferramonti, nel comune di Tarsia, a circa 30 chilometri a nord di Cosenza, qui rimase in servizio dal 1940 al 1943. In questa realtà, diretta da Paolo Salvatore, un legionario fiumano compagno d’armi del Segretario Generale del Pnf, Ettore Muti, proveniente dalla colonia di confinati sull’isola di Ponza ebbe mansioni di commissario di Pubblica Sicurezza». Così si legge sul dizionario della Calabria Contemporanea dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (Icsaic), nella scheda curata da Letterio Licordari.

Il suo estratto di nascita e il suo ruolo matricolare, custoditi presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, saranno esposti nella mostra Spazi di Memoria da domani, lunedì 29 gennaio, fino al 12 febbraio.

Il campo di Ferramonti

Costruito per recludere oltre due mila persone, ebrei e cristiani, italiani e stranieri, antifascisti ed oppositori politici comunisti, greci, slavi, apolidi, omosessuali. Si entrava sradicati dalla propria esistenza, spogliati di tutto e privati di ogni bene compresa la libertà, fu sorprendentemente possibile sopravvivere. Nessuno fu deportato o ucciso. Quella deriva a Ferramonti di Tarsia non fu mai raggiunta, arginata da umanità e coraggio. Il campo di internamento di Ferramonti, di Tarsia, fu il più grande tra i quindici allestiti su disposizione del Regime di Mussolini. Dal 2004 è un museo gestito dall’omonima fondazione.

Il campo di Ferramonti entrato in funzione nel giugno del 1940, era costituito da 92 baracche su una distesa di 16 ettari. Era privo di camere a gas. Era un campo di internamento e non di sterminio. Fu il primo campo ad essere liberato dagli Alleati, il 14 settembre 1943, e l’ultimo ad essere chiuso l’11 dicembre 1945. Molti, non avendo dove andare, restarono lì per qualche tempo, anche dopo la liberazione. L’editore Gustav Brenner anche oltre. Si sposò e restò a vivere a Cosenza.

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