mercoledì,Maggio 8 2024

Giornata della memoria, l’umanità del reggino Marrari nelle lettere degli internati a Ferramonti – VIDEO

A Tarsia, nel cosentino, il campo più grande che il regime fascista allestì in Italia per isolare ebrei e nemici del regime. Il commissario di Pubblica Sicurezza era originario della città dello Stretto. Il ricordo della nipote Nunzia Rita

Giornata della memoria, l’umanità del reggino Marrari nelle lettere degli internati a Ferramonti – VIDEO

«Ciò che Lei ci ha insegnato nel campo di Ferramonti dovrebbe servire da lezione a molta gente. Certamente il mondo sarebbe migliore, se non trascurasse troppo l’esempio di gente retta, profondamente onesta e buona, come ha dimostrato di esserlo Lei. Anche mia moglie La ricorda con gratitudine».

Così nel 1970, Gianni Mann, ex internato a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, il più grande campo di internamento fascista in Italia, scriveva al commissario di Pubblica Sicurezza, Gaetano Marrari. Nato a Reggio Calabria, egli quel campo lo aveva comandante con umanità, in un frangente storico in cui la violenza e la persecuzione seppero, proprio per mano dell’uomo, essere atroci e particolarmente brutali. Invece a Ferramonti di Tarsia l’angoscia poté non sfociare in disperazione.

Lo attesta l’incipit della stessa lettera, segnato da un tono di amicizia, oltre di gratitudine. «Mio caro amico (…) posso solo assicurarle una volta ancora che non io, ma Lei, merita di essere incluso nell’esigua schiera delle persone veramente “umane”, se per umani s’intende l’amore per il prossimo, l’intendersi l’uno con l’altro, il vivere in pace e serenità d’animo. Credo che questi siano concetti che valgano per tutti, per i cristiani ed i non cristiani perché Dio è uguale per tutti».

Il comandante Gaetano Marrari, con il direttore del campo Paolo Salvatore, con il frate cappuccino Callisto Lo Pinot e con il rabbino Riccardo Pacifici, scrisse in Calabria una storia di umanità inaspettata o forse ritrovata. In un’Europa in cui imperversava l’orrore della shoah.

Il racconto che si tramanda come la memoria

Una storia tenuta viva fino a ieri dalla figlia del comandante, Maria Cristina Marrari. Da giovanissima con la famiglia aveva vissuto all’interno del campo ed è stata testimone instancabile fino alla sua morte avvenuta nel 2019. Segue le sue orme la nipote Nunzia Rita Rizzi, che da docente di musica con i suoi alunni e le sue alunne, ha sempre valorizzato la giornata della Memoria come occasione di riflessione e condivisione di questa storia da non dimenticare.

È necessario ricordare che in Calabria, a Ferramonti, la tenebra non avvolse mai il campo, come ammantava i lager nazisti. A Ferramonti furono sempre custodite l’umanità e la dignità delle persone. Ogni 27 gennaio, per la figlia Maria Cristina Marrari ieri e per la nipote Nunzia Rita Rizzi oggi, si intrecciano Storia e vita familiare.

Le fitte corrispondenze anche dopo la sua morte

Le numerose e fitte corrispondenze tennero in contatto con il comandante Marrari molte delle persone che furono internate a Ferramonti. Quelle lettere sono traccia viva dell’umanità che riconobbero, nonostante l’arresto, la privazione, la persecuzione perché di origine ebraica, perché dissidenti o appartenenti alle minoranze, nel comandante reggino Gaetano Marrari. Lui mai cadde nel baratro, che il regime fascista certo imponeva, e mai considerò quelle persone private della libertà, anche prive di dignità.

Lettere con attestazioni di stima e affetto che andarono anche oltre la vita del comandante, avvenuta nel 1987, e che la famiglia continuò a ricevere. Una storia dentro la storia che sottolinea la potenza della parola scritta, capace di sfidare l’oblio e, ancora oggi, di commuovere e destare riflessioni. In ogni lettera è conservata una testimonianza che resiste al tempo.

«Dolce e discreto, senza i ricordi di mia madre e le lettere non avrei saputo»

«Il ricordo di mio nonno è sempre vivo. Un uomo molto dolce, pacato e affettuoso. Anche un tipo riservato e discreto. Ne abbiamo conosciuto la grandezza e l’umanità, manifestate in quel periodo buio della nostra storia, grazie alle lettere dei tanti che di quella benevolenza furono destinatari. Era un uomo molto riservato che mai si sarebbe gloriato di quanto aveva fatto. Per il semplice fatto che tutto era avvenuto con naturalezza. Era quanto andava fatto. Quanto era giusto fare. Una normalità che, tuttavia, in quel momento aveva il profumo del coraggio», racconta la nipote Nunzia Rita Rizzi Lupis.

«La ricordo sempre per il gentile trattamento usatomi al Campo di Concentramento. Mi auguro che Lei ora può essere tranquillo lontano dai fascisti, in un’aria di libertà, dopo averli combattuti per tre anni nel Campo. Con questo augurio La ringrazio di nuovo e La saluto cordialmente». Questo il contenuto di un’altra missiva.

Il coraggio della normalità

«All’interno del campo, ancorché militarizzato, nacquero bambini, furono celebrati matrimoni, c’erano scuole e sinagoghe. Le persone, seppure controllate, potevano circolare, incontrarsi, pregare secondo il loro culto e lavorare anche fuori dal campo. Erano molte le attività svolte e tanti furono anche gli spettacoli e i concerti che gli stessi internati animarono.

Lì, dentro, gli uomini, le donne e i bambini potevano consolarsi scrivendo, disegnando e suonando. Ma i tempi erano difficili e ricordo il giorno in cui fu issata la bandiera gialla, per annunciare un’epidemia di colera all’interno del campo, che in realtà non c’era. Uno stratagemma rischioso ma necessario per dissuadere le truppe tedesche, pronte a entrare, a prelevare e a deportare nei loro campi di sterminio le persone internate». Questo uno dei tanti racconti della figlia Maria Cristina Marrari.

Nel campo Maria Cristina Marrari aveva vissuto con tutta la famiglia e sempre ricordava quella decisione così rischiosa assunta anche dal padre. Un gesto che salvò la vita di tutte quelle persone e che certamente neppure gli internati avrebbero mai dimenticato.

«In nome degli Internati del Campo di Concentramento di Ferramonti Tarsia, Vi ringrazio del trattamento che avete usato verso di loro. Vi ricordano riconoscendo il Vostro atteggiamento onesto e sobrio di ogni tendenza fascista. Restavate fino all’ultimo al posto di comando davanti la porta d’ingresso del Campo anche durante la ritirata delle truppe Tedesche». Lo scrisse Erberto Landau, capo dei capi camerata del campo nel settembre 1943, qualche giorno dopo la liberazione da parte degli Alleati.

Quell’umanità destinata ad essere cancellata, del tutto inaspettatamente, poteva sperare in un futuro, non solo grazie a chi comandava e gestiva il campo ma anche grazie a tutta la comunità cosentina, che seppe essere molto accogliente. Ne nacquero legami significativi, durati anche oltre la guerra. Un’umanità testimoniata dalle relazioni che sopravvissero alla vita nel campo, di cui si legge nelle lettere e che si concretizzarono anche nelle tante visite che il comandante reggino ricevette a Reggio.

L’eco di una umanità inaspettata

«Anche dopo la sua morte anche hanno continuato a scrivergli. L’eco di quella umanità inaspettata non si esauriva. Sono lettere molto toccanti che attestano affetto e gratitudine e che testimoniano la capacità che ebbe di essere un raggio di luce nel cielo buio. A Ferramonti si seppe andare oltre le leggi per consentire alle persone internate di uscire e anche di familiarizzare con la comunità cosentina, di passeggiare tra le baracche e di assistere a concerti e a rappresentazioni teatrali». Così Nunzia Rita Rizzi, richiamando alla memoria i racconti di sua madre Maria Cristina.

Una storia da custodire e tramandare

«A mio nonno e così anche a mia madre devo l’insegnamento di grande forza, discrezione e tenacia. Mia madre fino alla fine, anche in avanti con l’età, ha testimoniato e raccontato, trasmettendo anche a me questa urgenza di non dimenticare quanto avvenuto in Calabria e a Ferramonti in quegli anni. 

Un luogo di detenzione, con condizioni anche precarie, che seppe essere anche un luogo di grande umanità e condivisione, in cui la comprensione e la solidarietà non erano bandite e cancellate ma praticate, anche dalla comunità circostante. Era definito per questo un non lager, un campo della buona sorte.

Ferramonti e la storia delle persone che vi hanno vissuto devono essere e rimanere un patrimonio da custodire e da richiamare sempre alla memoria della mente e del cuore. Una testimonianza essenziale e preziosa per le nuove generazioni che, seguendo l’esempio di mia madre, sempre mi onorerò di tramandare», conclude la nipote del comandante Gaetano Marrari, Nunzia Rita Rizzi Lupis.

top