sabato,Aprile 27 2024

Reggio: sentieri, ponti e passerelle per aiutare i giovani a credere in sé stessi

Presentata la rendicontazione sociale del Progetto Se.Po.Pass., due anni di laboratori, esperienze, tirocini e viaggi per motivare i ragazzi che non studiano e non lavorano

Reggio: sentieri, ponti e passerelle per aiutare i giovani a credere in sé stessi

Quando il professore Giovanni Laino, illustre urbanista della Federico II di Napoli, progettista territoriale ed animatore sociale, pensò di coinvolgere Reggio Calabria nella sua idea di aiutare i ragazzi invisibili –  quelli per cui i tecnici usano l’acronimo neet, cioè che non studiano e non lavorano – sapeva di lanciare una sfida agli operatori sociali della città. All’altro capo del telefono, c’era Mario Nasone, presidente del Centro comunitario Agape, a rispondere sì e mettere in moto la macchina operativa coinvolgendo le Cooperative sociali Res Omnia e Casa di Myriam, la Comunità terapeutica Casa del Sole, i Servizi sociali territoriali del Comune di Reggio Calabria e l’Ufficio Servizi sociali del Tribunale dei Minorenni.  

A 42 mesi di distanza dall’avvio del lavoro, i protagonisti di Se.Po.Pass., che sta per Sentieri, ponti e passerelle – perché, spiega Monica Tripodi, responsabile della progettazione, ci sono tante strade per raggiungere la meta, l’importante è camminare – si sono riuniti per la rendicontazione sociale ed un confronto sulle nuove prospettive del progetto per il diritto alla crescita e allo studio. «È stata una sfida – racconta Nasone – in quanto Se.Po.Pass. non mira a contrastare la dispersione scolastica e nemmeno alla formazione professionale e all’inserimento lavorativo. Usando le parole del professore Laino, è una terza via. Per la prima volta, cerca di intercettare quei ragazzi che hanno avuto esperienze scolastiche traumatiche (esperienze di vita traumatiche…), non riescono a studiare e a concentrarsi e non sono nemmeno interessati ad imparare un mestiere. È un mondo invisibile, in crescita, che sfugge alle anagrafi, ai censimenti della scuola, della giustizia minorile, delle istituzioni». «Siamo partiti con 25 ragazzi andando a cercarli nelle case, nelle loro stanze, con un’educativa di strada, soprattutto nei quartieri periferici di Arghillà e Modena, e non è stato facile fare interagire i due gruppi e contrastare quelli che rifiutavano i rom», aggiunge Cristina Ciccone, coordinatrice reggina del progetto sviluppato pure a Napoli e Messina e finanziato da Impresa sociale Con i bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà minorile.

Giovanni Laino, che da 40 anni opera nei Quartieri Spagnoli con la sua associazione impegnata nel lavoro di strada e nei servizi di sostegno alle famiglie, parla di politica preventiva e di futuro perché, se quei giovani diventassero padri e madri permanendo nello stato di abbandono, sarebbero portatori di ulteriori, gravi problemi sociali. E poi parla del progetto come un risarcimento per ragazzi che hanno sofferto tanto, si sono autostigmatizzati, pensano di non valere nulla, provengono da famiglie disagiate, sono diventati apatici o rischiano di finire nelle maglie della criminalità. E allora il metodo per coinvolgerli e motivarli è proporre loro percorsi assolutamente diversi da quelli scolastici e professionali che offrono trattamenti uguali per tutti. Qui la forza degli interventi sta nell’individualizzazione, nella presa in carico totale e nella costante attività di tutoraggio. Nell’arco di due anni, i ragazzi hanno fatto molte esperienze di gruppo, all’aperto e in mare, hanno sperimentato cose mai provate, come l’approccio critico al cibo e il recupero degli scarti in cucina con Slow Food, hanno imparato a fotografare e le arti circensi, ad esplorare grotte e torri costiere, viaggiare, gestire il proprio corpo e le emozioni. L’equipe formata da educatori e psicologi li ha aiutati a definire abilità e inclinazioni, i laboratori con gli esperti ed i 19 tirocini presso pasticcerie, pizzerie, associazioni sportive, alberghi e tante altre attività hanno aperto future possibilità di lavoro per una parte dei beneficiari.

«Qualcuno è stato assunto dall’azienda presso cui ha svolto il tirocinio – spiega Giovanni Laino – anche se la collocazione lavorativa non è tra gli obiettivi del progetto. Noi vogliamo essere come una sorta di grande cocktail di integratori, ciò che facciamo è aiutare i ragazzi a rialzarsi ridando loro la fiducia in sè stessi, far capire che c’è una seconda possibilità per tutti». «Hanno marcato la differenza con la scuola, dove se sbagli e non sei buono a niente, te ne devi andare”, gli fa eco Serafino Celano, esperto di monitoraggio e valutazione, che ha evidenziato la novità del progetto nella verifica passo passo dei risultati. I ragazzi sono stati ascoltati singolarmente, senza la presenza di educatori e tutor, per capire cosa non funzionava o poteva essere migliorato nelle attività proposte. Hanno apprezzato ciò che li ha messi in gioco in maniera complicata, come la rappresentazione di sé attraverso il teatro, per migliorare la relazione sia con gli adulti, sia con i loro pari. Si è capito che bisogna investire maggiormente su tirocini più specifici ed ampi, sui percorsi individuali, sulla presenza di esperti e tutor esterni che interagiscano in maniera diretta e matura, per non innescare quelli che i ragazzi percepiscono come meccanismi di infantilizzazione. Molti non erano mai usciti dal loro quartiere, si sentivano grandi senza avere mai imparato a stare nel mondo. L’esperienza che più li ha entusiasmati è stata il viaggio, gli Erasmus a Milano, Trento, Messina, Napoli. Cosimo racconta di avere visto per la prima volta la montagna in Trentino, di avere visitato le bellezze di Napoli e capito a Milano cos’è una metropoli. Ma, soprattutto, ha scoperto di essere bravo a tagliare e pettinare i capelli e questo ora è il suo lavoro. Kadhija, invece, pensava che un giorno sarebbe diventata una brava estetista. Il progetto Se.Po.Pass. l’ha intercettata nella comunità in cui viveva e l’ha tirata fuori dal periodo buio che stava attraversando. Si è sentita ascoltata, lo sottolinea quasi stupita dei tanti progressi fatti. Sperimentando, frequentando laboratori e imparando lei ad ascoltare sé stessa, ha capito che le piace lavorare nei locali, a contatto con la gente, e adesso spera di trovare un posto da banconista. Domenica scorsa, Cosimo, Kadhija e gli altri ragazzi si sono rincontrati nel parco di Ecolandia per una grande di festa di fine progetto, con le persone che li hanno accompagnati negli ultimi due anni. Insieme hanno impastato ed infornato i dolci pasquali, riprovato l’ebbrezza del parco avventura e della teleferica e ricordato le tante esperienze che li hanno aiutati a crescere.  

Che questo sia un dispositivo vincente, lo hanno confermato tutti i partecipanti al tavolo di confronto e rendicontazione sociale. «Prima inseguivamo progetti che poi non si adattavano alle fragilità del nostro territorio – ha affermato Maria Grazia Marcianò, responsabile Famiglie e minori dei Servizi sociali territoriali del Comune di Reggio Calabria – Ragazzi di questa età non possono essere seguiti in un centro per adolescenti del quartiere, come si fa con i bambini. Bisogna proporre modalità nuove, rafforzare il servizio di educativa di strada ed estenderlo anche nei centri storici, dove le famiglie si stanno smagliando e i giovani cadono nelle devianze”. Ma è importante capire che si lavora con le persone, non si possono abbandonare dopo avere creato legami ed ottenuto risultati – è stato l’accorato appello delle educatrici Rosi Condemi ed Antonella Brancati – gli interventi devono essere strutturati e continui. Un vecchio cavallo di battaglia del professore Laino, che da decenni parla di design istituzionale, di alleanze, di superamento della frammentarietà degli interventi e si batte contro quella che chiama “la politica delle bomboniere”, le azioni condotte per creare grande impatto e che poi non si capisce quanto lascino di effettivamente virtuoso. “Non servono show, ma agenzie specializzate del fare. Preferisco azioni più costanti, sobrie – dice –  che non vanno sui giornali e che collaborano con gli enti locali. Anche perché il vero problema delle periferie è la fruizione dei servizi”. Infatti, tra i bassi dei Quartieri spagnoli, la sua associazione opera con uno Sportello sociale, una presenza fissa lì dove c’è il bisogno. E sembra andare in questa direzione, il contributo dell’Assessore comunale al Welfare Lucia Nucera, che ha chiesto innanzitutto la collaborazione delle scuole nell’immediata segnalazione dei ragazzi che abbandonano e invece rimangono normalmente iscritti negli elenchi scolastici, senza che sia data la possibilità di attivare gli interventi per individuarli e recuperarli. Nella periferia di Arghillà, ha spiegato l’Assessore Nucera, è partito un ulteriore lavoro di progettazione sociale con il Tavolo dell’Ufficio del Piano. E poi ci sono i fondi Pinqua per la rigenerazione urbana. “È importante attenzionare le due poverty-maps che abbiamo a Reggio – ha aggiunto in conclusione Nucera – una si trova ad Arghillà, l’altra è quella di Ciccarello-Modena. E, soprattutto, va data attenzione ai giovani: in questi quartieri bisogna intensificare i servizi e dare punti di riferimento in modo che possano riacquistare fiducia nelle istituzioni e verso il territorio in cui abitano».

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