sabato,Aprile 27 2024

Giorno del ricordo, la reggina di adozione Lidia Muggia: «L’esilio dall’Istria per restare Italiana» – VIDEO

Ecco il racconto dell'esodo di una donna, allora bambina, ormai residente a Reggio da oltre 50 anni, che fuggì per sopravvivere

Giorno del ricordo, la reggina di adozione Lidia Muggia: «L’esilio dall’Istria per restare Italiana» – VIDEO

«Quando vedo i profughi ucraini, mi rivedo bambina perché la storia è sempre la stessa. Loro scappano dai russi come noi scappavano dai titini». Le guerre non sono finite e ancora tanti popoli non vivono in pace.

Lidia Muggia, nata a Canfanaro in Istria nel 1938, fuggita a Trieste nel 1946 e da oltre 50 anni a Reggio Calabria, era soltanto una bambina quando conobbe la persecuzione per il solo fatto di essere italiana. Soltanto una bambina. Eppure non ha dimenticato la paura e il terrore che hanno segnato la sua infanzia coincisa con la lotta partigiana condotta dal maresciallo Tito per riunire i paesi slavi come l’Istria, italiana ma controllata militarmente dai tedeschi. Una lotta che alla fine della Seconda Guerra mondiale degenerò nell’orrore delle uccisioni di massa degli italiani ritenuti tutti fascisti e gettati nelle fosse carsiche note come foibe. Una lotta che costrinse migliaia di italiani all’esodo.

Da una parte i tedeschi e dall’altra i titini

«Eravamo costantemente sorvegliati e circondati: da una parte i titini e dall’altra i tedeschi. Passammo momenti di terrore paura di essere fucilati perché italiani nella terra dove io e i miei fratelli eravamo nati e dove improvvisamente tutto ci era ostile. Non dimenticherò mai i fucili puntati e le urla quella notte – racconta ancora Lidia Muggia – in cui esplose il treno vicino al casello ferroviario accanto al passaggio a livello della linea Campo Marzio di Trieste – Pola. Era una zona presieduta dalle truppe naziste e in quel casello lavorava mia madre e noi tutti vivevamo. Per quell’esplosione mia madre, di origini italiane, fu accusata di complicità dai tedeschi e portata via da noi. Io ero solo una bambina, avevo solo sei anni. Non dimenticherò quei lunghi giorni in cui la chiamavo senza che lei potesse rispondermi. Poi un giorno la vidi ritornare da noi», racconta ancora Lidia Muggia.

La madre Elvira, di origini piemontesi, donna di grande coraggio e rimasta vedova giovanissima, fu a lungo interrogata dai tedeschi prima di poter tornare dai figli. Dopo quanto era accaduto non restava che la fuga. La destinazione fu l’Italia, dove l’esistenza non fu subito facile ma dove, nonostante l’esilio e le radici altrove, presto fu possibile sentirsi in patria, finalmente in pace.

La memoria che resiste

«Oggi, poter parlare dei fatti che hanno caratterizzato i miei primi anni di vita, mi fa comprendere sempre di più come ciò sia necessario utile per conoscere tratti importanti della nostra storia. Per conoscere l’odio di cui l’essere umano è stato capace e per impegnarsi costantemente per debellarlo. È una storia che non può essere disconosciuta e mistificata. Il Comitato 10 febbraio negli anni si è impegnato in una rivoluzione culturale scandita dalla raccolta di sussulti e voci di quel pezzo di Italia che non c’è più ma che resiste vivo nella memoria di noi sopravvissuti», conclude Lidia Muggia.

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