venerdì,Maggio 3 2024

Il tesoro della miniera: il nuovo romanzo di Giorgio Gatto Costantino

Il giornalista e scrittore reggino illustra a IlReggino.it l’ultima opera sulla città che sarà presentata domani al lido Mare Lucente

Il tesoro della miniera: il nuovo romanzo di Giorgio Gatto Costantino

Un b&b ad Arangea, la festa di Madonna, un pittore, un’antica fonderia, una patena d’argento dedicata al matrimonio tra un re e una regina. Questi gli elementi di base del nuovo romanzo di Giorgio Gatto Costantino, “Il tesoro della miniera” (edito da YouCanPrint) che sarà presentato domani al lido Mare Lucente di Reggio Calabria. Un omaggio alla città, come gli altri libri del giornalista e scrittore reggino, con il fine ultimo di far conoscere tratti gloriosi e sconosciuti della nostra storia, invitando tutti a ritrovare quel senso di responsabilità necessario per far sì che l’immensa eredità che il passato ci ha lasciato serva a tirare fuori quanto di positivo c’è in questa terra. Ne abbiamo discusso direttamente con l’autore. 

Giorgio, di cosa parla questo nuovo romanzo?

«In realtà, non è proprio “nuovo” perché il romanzo era già uscito a puntate ma oggi ho voluto dargli una veste cartacea. È, dunque, un aggiornamento, un’evoluzione di quanto già scritto in passato, che nasce dal desiderio di far conoscere ai cittadini di Reggio in primis ma anche a eventuali turisti un luogo particolare della città che continua tutt’oggi ad essere sconosciuto: il sito di archeologia protoindustriale della cosiddetta “miniera”. Di fatto, parliamo di una fonderia borbonica a tutti gli effetti, un luogo cioè in cui venivano convogliate le risorse minerarie di una zona vastissima che andava dalla Sicilia fino alla Jonica, dove c’erano tutta una serie di cave vere e proprie, principalmente nella vallata del Valanidi, dove venivano raccolti i minerali (argento, rame e di diverso tipo) che poi venivano lavorati nella fonderia». 

Quindi una rivoluzione industriale ante litteram a Reggio?

«Sì, perché se l’argento era l’elemento più eclatante, il fatto che venissero lavorati più minerali faceva capire come la fonderia fosse una struttura polifunzionale, molto attiva, con circa 700 addetti. Basti pensare che oggi l’Hitachi ha 600 dipendenti per immaginare la portata di questa struttura che dava da lavorare a 700 persone, tra le quali c’erano questi operai specializzati provenienti dalla Sassonia. Quindi se contestualizziamo: nel 1750, quando ancora si era assolutamente agli albori della Rivoluzione Industriale non in Italia ma in Inghilterra, Germania e Francia, vediamo che a Reggio Calabria c’è stato un esperimento di innovazione industriale fortissimo. Non solo Mongiana, Ferdinandea, dunque, che erano altre realtà importanti ma anche qui da noi si fece un esperimento simile. Peraltro, quello degli operai tedeschi non fu un passaggio saltuario, ma gli stessi si installarono qui, tanto da ricreare ad Arangea la loro comunità con il loro santo protettore, S. Giovanni Nepomuceno, cui continua tuttora ad essere intitolata la chiesa locale». 

Nel romanzo c’è anche festa Madonna…

«L’altro motivo per cui ho deciso di pubblicare adesso l’aggiornamento cartaceo del romanzo è proprio legato alla festa della Madonna della Consolazione. Mentre scrivevo, ho pensato che parlare solo della miniera fosse riduttivo, perché il mio voleva essere un lavoro che parlasse della città nel suo insieme, un nuovo punto di vista che comprendesse al contempo centro e periferia. Allora ho pensato, che la cosa migliore fosse parlare di festa di Madonna che è il momento identitario per eccellenza per la città. Così, il romanzo si sviluppa proprio nei giorni della festa di settembre, che diventano lo scenario di un percorso e di un discorso su Reggio che parte dalla miniera e si espande alla città nei suoi aspetti più rilevanti, dal lungomare agli altri elementi che ne caratterizzano l’identità. E non poteva mancare il “tesoro”, la patena d’argento del 1750 che celebra il matrimonio tra Carlo III e la regina Amalia conservata al museo S. Paolo che è al centro del romanzo». 

Chi è il pittore di cui si parla nel romanzo?

«E’ stato un grande pittore cui ho voluto dedicare un approfondimento nel romanzo, insieme ai luoghi, ai momenti di socialità e agli elementi distintivi della città. Uno dei suoi quadri è anche nella chiesa di Arangea ed è stato un artista eccezionale, anche lui misconosciuto, purtroppo, come la miniera. Ha fatto delle opere meravigliose che sono tuttora conservate alla Cattolica, al Duomo, in altri edifici privati e mi è sembrato doveroso omaggiare questa importante figura reggina». 

Dunque, un romanzo più giallo o più fantasy?

«Il romanzo di per sè vuole essere un fantasy ma si può inquadrare in un giallo a tratti leggeri, con uno stile scanzonato, ironico, alla Guareschi per intenderci. Perché il mistero non manca ma ci sono anche personaggi ambigui che non si capisce bene se sono reali o fantastici e poi fa da sfondo uno spirito di leggerezza, ironia, soprattutto quando parla di noi reggini. Io metto alla berlina, infatti, i nostri modi di essere, di parlare, c’è molto uso del dialetto».

Il messaggio di fondo è, quindi, un invito a sorridere… 

«Sì a sorridere di noi stessi, innanzitutto. Incuriosire, tenere alta l’attenzione sulla miniera e sorridere dei nostri tratti salienti più marcati, dei nostri modi di fare, di relazionarci, guardandoci con simpatia. Ecco, vorrei suscitare la simpatia sulla città, perché vedo che c’è tanta rabbia, un rancore crescente che non fa bene a nessuno, perché tende a metterci in conflitto generando soltanto macerie. Io, invece, vorrei provare a costruire qualcosa di positivo e per fare questo occorre un po’ di leggerezza, guardarci con simpatia e distacco. Non siamo superuomini ma non siamo neanche da buttare, prendiamo tutto quello che di buono c’è e proviamo a costruire qualcosa di meglio per i nostri figli. In definitiva, il mio vuole essere un contributo a guardare in maniera diversa la città nelle sue positività perché c’è un punto da cui poter ripartire, con senso di responsabilità per far sì che l’eredità che ci giunge dal passato diventi la base da cui proseguire un lavoro di valorizzazione dell’identità comune».

Articoli correlati

top