lunedì,Maggio 6 2024

Reggio, Antigone e Ismene in gabbia, chiudono il trittico teatrale alla De Gasperi

Venerdì l’ultimo dei tre spettacoli di “Edipo, un ritratto di famiglia” nell’ambito della V Edizione del Balenando in Burrasca Reading Festival – Lungo i bordi

Reggio, Antigone e Ismene in gabbia, chiudono il trittico teatrale alla De Gasperi

Buio e silenzio, solo il battito di un cuore in lontananza. E al centro una gabbia. Una vera gabbia con dentro due corpi ricoperti da lenzuola bianche. Una voce si leva melodiosa e intona un canto. Poi le lenzuola si scostano. I due corpi sono quelli di Antigone e Ismene, le due sorelle figlie dell’incesto e unite anche nella rabbia e nel dolore della prigionia e della morte imminente. È questo lo sfondo immersivo in cui sono stati proiettati gli spettatori di “Ismene per Sempre”, l’ultimo atto del trittico per la regia di Matteo Tarasco, la drammaturgia di Katia Colica e le ambientazioni sonore di Antonio Aprile, andato in scena venerdì sera all’auditorium De Gasperi di Reggio Calabria. Uno spettacolo che ha suggellato, dopo “La sfinge” e “Giocasta”, il trittico “Edipo, un ritratto di famiglia”, per la V edizione del Balenando in Burrasca Reading Festival – Lungo i bordi.

Antigone e Ismene: reclusione, ingiustizia e libertà

Ismene è la storia di chi rifiuta e viene rifiutata. Lei stessa dice che si sente uno scarto narrando un episodio di gioco con Antigone quando erano bambine. Antigone, invece, è la rivoluzionaria, la ribelle che disobbedisce alle leggi per dare degna sepoltura al fratello Polinice. Entrambe imprigionate, deprivate di tutto. Questo è il dramma della privazione, messo in scena magistralmente da Arianna Ilari e Giulia Carrara, rispettivamente, nel ruolo di Ismene ed Antigone.

Un mito «reinterpretatocon una visione un po’ più contemporanea» spiega Katia Colica. La storia «di queste due sorelle che tendono a cercare delle spiegazioni aldilà di quello che sta succedendo per legge e provano a salvarsi a vicenda, un percorso di riflessione sulla reclusione, sull’ingiustizia e sulla voglia di essere libere, di riscattarsi».

Gabbia come metafora e teatro come strumento di libertà

Nel testo di Katia Colica c’è l’amore tra sorelle, «i valori della famiglia, anche nell’estremo limite del male, Antigone che viene incarcerata perché ha trasgredito la legge, Ismene che è innocente e si dichiara colpevole, solo per atto d’amore» spiega il regista Matteo Tarasco. Cosa siamo disposti a fare per amore? O forse, l’amore è l’unica cosa che ci libera dalle gabbie? O ancora, come evitare che l’amore sia una gabbia?

Lo stesso originale allestimento, «a pianta centrale – con gli spettatori intorno – ma dentro una gabbia di silenzio, di buio come se fossimo tutti incarcerati insieme ad Ismene e Antigone, vuole farci comprendere quanto a volte le gabbie morali, culturali, sociali ci attanaglino e noi non ce ne rendiamo conto. Anzi, magari, a volte ci sembrano retaggi della libertà ma in realtà è proprio il contrario».

E forse, solo il teatro è«l’unico strumento che rende umano l’essere umano. Nel teatro – conclude Tarasco – sei obbligato a metterti nei panni dell’altro e credo sia l’esercizio filosofico più importante da fare nella società di oggi perché se non accogliamo l’altro, in tutte le sue coniugazioni, perdiamo la nostra identità».

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